Il Signore ama le porte di Sion più di tutte le dimore di Giacobbe» (Sal 97,2). Perché mai il Signore ama le porte di Gerusalemme più di ogni altra dimora? Certamente perché davano accesso alla città santa nel cuore della quale si trovava il Tempio, luogo dell’incontro di Dio con gli uomini, e Dio è in cerca dell’uomo. Ma se il Salmo parla delle porte – e non del Tempio – è forse che vi è qualcosa di speciale in quelle brecce nelle mura di Gerusalemme. Proviamo a pensarci.
La prima porta alla quale pensiamo è evidentemente quella che oggi rimane la più bella, la cosiddetta Porta di Damasco, quella che è diretta verso nord; gli ebrei la chiamano Porta di Sichem; nei due casi si pensa al luogo dove si può andare uscendo da questa porta, oppure a quello dal quale si arriva quando si giunge alle sue soglie. Gli arabi la chiamano Porta della Colonna, ricordo del tempo in cui, entrando da questa porta si giungeva a una piazzetta nel cui centro si trovava una colonna (attestata dalla famosa mappa musiva di Madaba).
Tuttavia, quello che a me ha sempre dato da pensare è che questa porta è il punto di partenza di tre direzioni possibili: da lì si può andare direttamente, seguendo la «via della Valle», al Muro occidentale: e là si possono vedere gli ebrei in preghiera davanti a un enorme muro. Se invece, da questa via si gira sulla sinistra, si giunge alla Spianata delle moschee (questo accesso è consentito oggi solo ai musulmani; gli altri devono fare diversi giri per arrivarci); nel Duomo della Roccia, si trovano dei musulmani in preghiera davanti ad una vasta roccia circolare, il cuore di questo santuario musulmano. Dalla Porta di Damasco, si può anche prendere la via in leggera salita, verso la destra, che segue l’antico Cardo maximus romano, e allora si giunge al Santo Sepolcro, dove troviamo dei cristiani in preghiera davanti alla roccia della tomba di Gesù. Tre vie diverse, che conducono tuttavia ciascuna a uomini e donne che pregano davanti a una pietra: oranti che sbattono la testa contro la roccia. Silenzio di Dio?
In realtà non è così: per la tradizione ebraica, il Muro occidentale è quel muro dietro al quale il Beneamato del Cantico dei cantici, il Signore, si nasconde per «spiare» con amore i suoi figli: «Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia dalle inferriate» (Ct 2,9). La roccia del santuario musulmano è, secondo la tradizione, il coperchio della «fossa delle anime» che attendono la risurrezione, e diventa luogo della speranza della vita oltre la morte.
La roccia del Santo Sepolcro infine dà accesso a una tomba vuota: là il Cristo non c’è, perché è il Vivente; è roccia che attesta della vittoria di Cristo sulla morte. Tre vie; ma ciascuna attesta che un muro, una roccia, una tomba, non sono ostacoli che si ergono sul nostro cammino, bensì porte verso l’avvenire di Dio, che permettono il venire di Dio fino a noi. Forse sono esse le porte amate dal Signore…
Ebraismo, cristianesimo e Islam non sono uguali. Non si tratta di fare falsi concordismi, occorre scegliere. È ciò che ricordano i bivi che s’incontrano quando si entra a Gerusalemme dalla porta di Damasco. È bene tuttavia sapere che le altre due religioni monoteiste condividono con noi una speranza e una certezza: quella della prossimità amorosa di Dio che apre il nostro presente su un avvenire di vita luminosa e di gioia. Animata da questa convinzione la nostra vita già s’illumina, ma anche il nostro incontro con l’altro si fa meno teso, più sereno.