A un anno dalla «primavera araba», le preoccupazioni economiche, un salario decente e una casa in proprietà, salgono ai primi due posti nell’agenda dei giovani arabi, mentre il desiderio di vivere in un Paese democratico, pur condiviso sempre dalla maggioranza, arretra al terzo posto. I dati di un'indagine effettuata in 12 nazioni.
(Milano) – A un anno dalla «primavera araba», le preoccupazioni economiche, un salario decente e una casa in proprietà, salgono ai primi due posti nell’agenda dei giovani, mentre il desiderio di vivere in un Paese democratico, pur condiviso sempre dalla maggioranza, arretra al terzo posto.
È un quadro variegato quello che emerge dal rapporto annuale sui giovani arabi che, dal 2008, analizza le tendenze ideali, politiche e culturali di un campione di 2.500 giovani in ben 12 Paesi arabi, dall’Egitto all’Arabia Saudita, dalla Tunisia all’Iraq. Significativamente intitolato After the Spring («Dopo la primavera»), il rapporto mostra un quadro tuttora fluido di una gioventù araba tutto sommato ottimista per il futuro, ma capace di guardare con pragmatismo ai problemi emersi dopo il sommovimento che tra la fine del 2010 e il 2011 ha cambiato il volto del mondo mediorientale.
Un salario adeguato è oggi la preoccupazione principale per l’82 per cento dei giovani intervistati, con un balzo rispetto al 63 per cento dell’anno scorso: evidente segno del deteriorarsi della situazione economica della regione, dove sono crollati di due terzi gli investimenti esteri. Al secondo posto sale l’esigenza di possedere una casa dove abitare (65 per cento degli intervistati, contro il 61 per cento nel 2011). Vivere in un Paese democratico, che durante la primavera araba costituiva l’aspirazione principale per il 68 per cento degli intervistati, scende al 58 per cento: in parte ciò è spiegabile con la percezione di un miglioramento sostanziale delle condizioni politiche della nazione di appartenenza, in parte è il frutto di un’emergenza sociale sempre più drammatica (costo della vita, occupazione).
Dunque un ripiegamento dal politico al sociale, che potrebbe incanalarsi nell’adesione a islamismi più o meno tolleranti, come sembrerebbero del resto indicare i risultati elettorali in molti Paesi? Non esattamente. Certo, i valori tradizionali restano validi per la maggioranza dei giovani. Ma è significativo il crollo dall’83 al 65 per cento di quanti condividono l’affermazione «i valori tradizionali significano molto per me e dovrebbero essere preservati per le generazioni future». Il 44 per cento dei giovani tunisini ritiene che «i valori tradizionali siano superati e appartengono al passato», il 41 per cento è dello stesso parere in Giordania e in Qatar. In Iraq, nel 2011 il 94 per cento dei giovani dichiarava attaccamento ai valori tradizionali: nel 2012 la percentuale è precipitata al 58 per cento. In Paesi dove due terzi della popolazione hanno meno di trent’anni, questi risultati indicano che il futuro del mondo arabo potrà riservare ancora molte sorprese.
Causa e al contempo effetto di quest’evoluzione culturale è il cambiamento velocissimo nel consumo d’informazione e nell’uso dei mezzi di comunicazione. Nel 2011, solo il 18 per cento dei giovani arabi dichiarava di informarsi quotidianamente sugli eventi e sulla situazione del proprio Paese. Questa percentuale nel 2012 è salita al 52 per cento.
La televisione resta lo strumento principale d’informazione, ma scende dal 79 al 62 per cento la quota di quanti la impiegano per aggiornarsi sulle vicende del giorno, mentre solo il 32 per cento dei giovani oggi ricorre alla carta stampata per capire cosa succede, a fronte del 62 per cento dell’anno scorso.
Dunque, è il trionfo di Internet (l’82 per cento lo usa quotidianamente) e dei nuovi strumenti d’informazione: la frequentazione dei blog sale dal 29 per cento del 2011 al 61 per cento odierno, mentre l’uso di Twitter raddoppia dall’8 al 16 per cento e quello dei social network sale al 56 per cento (l’81 per cento dei giovani egiziani visita con assiduità Facebook).