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Nella Penisola arabica chiese affollate per i riti pasquali

Lucia Balestrieri
5 aprile 2012
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Nella Penisola arabica chiese affollate per i riti pasquali
Immigrati cristiani in preghiera nella Penisola arabica (foto F. Proverbio)

La domenica di Pasqua nella Penisola arabica è un giorno lavorativo come un altro, ma per i milioni di immigrati cristiani sarà un momento speciale di fede, di festa, di comunione. Le chiese sono stracolme di decine di migliaia di persone, le messe si susseguono dal tramonto all’alba in una babele di lingue, riti e canti.


(Milano) – La domenica di Pasqua nella Penisola arabica è un giorno lavorativo come un altro, ma per i milioni di immigrati cristiani sarà un momento speciale di fede, di festa, di comunione. Le chiese sono stracolme di decine di migliaia di persone, le messe si susseguono dal tramonto all’alba in una babele di lingue, riti, canti. «Una situazione che molti parroci europei invidierebbero», scherza il vescovo Camillo Ballin, vicario apostolico dell’Arabia Settentrionale, con sede in Kuwait. Già la scorsa domenica delle Palme, racconta a Terrasanta.net «nella cattedrale della Santa Famiglia a Kuwait City, hanno preso parte alle messe almeno 30 mila persone». Cifre simili, aggiunge, sono la norma, nella settimana pasquale, anche negli altri paesi del Golfo, come Emirati e Qatar, dove è stata autorizzata la costruzione di chiese.

Lo spazio sembra però non essere mai abbastanza per accogliere tutti i fedeli. «In Kuwait esistono solo due chiese per 350 mila cattolici», ci spiega il vescovo. Per i riti della Settimana Santa è stata predisposta un’organizzazione meticolosa: per la notte di Pasqua le messe cominceranno sabato alle 18, alla fine dei turni di lavoro, e andranno avanti fino alle 3, le 4 del mattino. Domenica, alle 18 le celebrazioni riprenderanno. «Per far fronte alla folla, sono arrivati sacerdoti da tutto il mondo a darci una mano», ci racconta Ballin. Nella cattedrale del Kuwait, un edificio costruito una cinquantina di anni fa e destinato ad ospitare circa 700 persone alla volta (che si trasformano regolarmente in un migliaio ed oltre), i riti si susseguiranno: prima la liturgia latina, poi quella maronita e quella copta dedicate agli arabi cristiani immigrati dal Libano o dall’Egitto, poi i riti siro-malankarese e siro-malabarese per i lavoratori asiatici, specie indiani. «Le messe saranno celebrate in dodici lingue, dall’inglese all’arabo, dal tagalog (la lingua nazionale filippina) ai tanti idiomi parlati in India, il tamil, il singalese, il bengalese, per finire anche all’italiano e al polacco». Cinquantaquattro corali, uno per ogni diversa componente, accompagneranno la veglia della Risurrezione. Nella cattedrale di Kuwait City, la notte di Pasqua, risuonerà l’universalità della Chiesa cattolica. Qualcosa che appare straordinario a chi vive in Occidente. «Per noi , però, questa è la normalità», commenta il vescovo.

«Abbiamo una comunità variegata e in crescita, molto fervente e praticante che si ritrova nella fede e in particolare nei momenti più importanti dell’anno liturgico come Natale e Pasqua», osserva mons. Ballin.

I cattolici nella Penisola arabica sono tanti: quasi due milioni in Arabia Saudita, dove però è vietata qualsiasi manifestazione pubblica di fede diversa da quella musulmana; un altro milione e mezzo vive negli Emirati Arabi Uniti; centinaia di migliaia, infine, lavorano nel Bahrein, nel Kuwait, nel Qatar e negli altri stati della regione. «I nostri fedeli sono però solo di passaggio, sanno che ad un certo punto dovranno partire, che i loro figli dovranno tornare in patria per proseguire gli studi perché non verranno ammessi alle università locali. Tutto ciò crea una situazione difficile, di grande provvisorietà», rimarca il vicario apostolico.

Sullo sfondo vi sono poi i diversi livelli di restrizioni imposti alla libertà di coscienza dai diversi regni del Golfo e i pericoli del fondamentalismo islamico. Proprio in Kuwait, nel febbraio scorso, si è formato un nuovo gruppo parlamentare, composto da quattro membri, su un totale di 60 deputati. Chiedono che la legislazione adotti un’interpretazione più rigida dell’Islam, proibendo la costruzione di chiese nel territorio nazionale. Una sparuta minoranza, certo, che tuttavia ha ricevuto l’incoraggiamento del gran muftì dell’Arabia Saudita, Sheikh Abdul Aziz bin Abdullah al-Sheikh, il quale, incontrandoli, ha affermato che i musulmani dovrebbero distruggere tutte le chiese esistenti nella Penisola arabica. Parole incendiarie su cui mons. Ballin preferisce non pronunciarsi.

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