Con Pietro, aperti alle novità di Dio
Dal porto di Giaffa, cittadina antichissima, ora parte della città di Tel Aviv, partì il profeta Giona per fuggire verso Tarsis, mentre Dio gli aveva chiesto di recarsi a Ninive a convertire i suoi abitanti (Giona 1,1-3). Sempre qui l’apostolo Pietro operò un miracolo grandioso, ridonando la vita ad una donna caritatevole di nome Tabità (Atti degli Apostoli 9,36-43). Ma la cosa che mi sembra più significativa avvenuta in questo luogo è la visione che Pietro ha avuto mentre pregava sul tetto della casa di Simone il conciatore, raccontato negli Atti al capitolo 10. Vediamo insieme perché.
Pietro come tutti gli apostoli era ebreo, cresciuto nel rispetto delle tradizioni della religione e nell’osservanza delle norme giudaiche, tra le quali ve ne sono moltissime riguardanti i pasti e gli animali che si possono mangiare perché considerati puri e quelli che non si possono mangiare perché considerati impuri. Il testo racconta che mentre si trovava in preghiera, sulla terrazza della casa dell’uomo che lo ospitò per diversi giorni a Giaffa, gli venne fame e, mentre gli preparavano il pasto, ebbe una visione e gli apparve una grande tovaglia che scendeva dal cielo contenente animali a quattro zampe, rettili e uccelli. Una voce gli ordina di uccidere e mangiare quanto è contenuto nella tovaglia, ma Pietro è scandalizzato e afferma: «No davvero, Signore, poiché io non ho mai mangiato nulla di profano e di immondo». Possiamo immaginare quanto difficile possa essere stato per un ebreo osservante dover sconvolgere completamente la propria idea su ciò che considerava importante, degno di fede e rivelato da Dio nella Torah. Dio gli chiarisce le idee dicendo: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano». Da quel momento qualcosa in Pietro deve cambiare, è costretto a riorganizzare le proprie convinzioni, deve effettuare uno sconvolgimento generale nel suo cuore e nella sua mente e accettare la grande e meravigliosa novità di Dio e dei suoi progetti per la Chiesa universale. Sappiamo bene che le prime comunità di credenti in Gesù erano formate da ebrei religiosi e osservanti di tutte le norme date da Dio a Mosè, tuttavia fino a quel momento a nessuno era stato richiesto di rinunciare all’osservanza di quelle leggi, anche alle più piccole e pratiche come quelle riguardanti i cibi; inoltre sembrava chiaro, soprattutto a Pietro, che il messaggio di Cristo potesse essere compreso e raccontato solo agli ebrei.
Il primo papa era ancora un po’ scettico nei confronti dei pagani e dei non ebrei e non comprendeva come le genti non appartenenti al popolo di Israele potessero divenire membra della Chiesa di Cristo. Ecco perché importantissimo quel che è avvenuto a Giaffa: qui è nata la Chiesa cattolica, nel suo significato più autentico, cioè «universale». Da qui Pietro ha iniziato a intuire cosa significassero le parole di Gesù «Andate e ammaestrate tutte le nazioni…» (Vangelo di Matteo 28,19). Quando i pellegrini vengono a visitare il nostro santuario di Giaffa, mi piace molto spiegare la visione della tovaglia e invitare ognuno a riflettere su quanto sia difficile, ma sorprendente, lasciarsi sconvolgere dai disegni di Dio. Da Giaffa bisogna ripartire con il cuore rinnovato, come avvenne a Pietro, bisogna aprirsi alla novità di Dio, allargare gli orizzonti della nostra mentalità spesso limitata ai nostri problemi quotidiani, per raggiungere nella preghiera e nella carità tutta la Chiesa sparsa nel mondo, capaci di guardare verso l’avvenire con rinnovato entusiasmo.
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Da questo numero firmerà la pagina dedicata alla spiritualità fra Alberto Joan Pari, frate minore originario di Brescia, in Terra Santa da cinque anni. Sarà uno spazio dedicato alla riflessione sulle Scritture e sul messaggio dei Luoghi Santi. Dopo aver vissuto ad Ain Karem vicino a Gerusalemme, a Betlemme e nella Città Santa, fra Alberto da circa sei mesi si trova nel convento santuario dedicato a san Pietro a Giaffa.