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Il Vangelo annuncia che i discepoli incontreranno Gesù risorto in Galilea, dove gli apostoli sono nati e hanno vissuto: solo nella vita concreta abita il mistero di Dio.

Quell’incontro col Risorto che avviene solo in Galilea

fratel Marco Cosini, Nazaret
8 marzo 2012
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Il cuore della nostra fede è il mistero pasquale, in tutta la sua ampiezza, in tutta la sua portata. La liturgia ci insegna per altro che la preparazione ad esso e la «dimora» in esso debbono prolungarsi per il periodo di tre mesi circa per ogni anno. La quaresima (quaranta giorni) e il tempo Pasquale (cinquanta giorni) rappresentano infatti un percorso liturgico-spirituale di una intensità estrema. Questo semplice dato ci pone nella giusta ottica per addentrarci, anche solo un poco, nel mistero della Risurrezione.

Tutto il cammino fatto alla (ri)scoperta di Gesù di Nazaret volge al suo culmine proprio nella consapevolezza che Egli è il Risorto, il compimento della speranza di ogni uomo. Tale compimento non riguarda però unicamente la dimensione della conoscenza umana, ma è pure un dato che prende senso nella misura in cui se ne fa viva esperienza.

Prendo a prestito le parole dette da un parroco, diversi anni fa, durante l’omelia di una messa di Pasqua: «Un conto è sapere che Gesù è risorto: tutti lo sanno. Un altro è avere incontrato il Risorto!» Fare esperienza di questo significa aprire gli occhi e accorgersi che Gesù, il crocifisso, è vivo; significa conoscere (nel senso più ampio e profondo possibile) che Lui è il Risorto per me, vive per sempre per me, con me e in me.

Se andiamo alle pagine dei Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) e ripercorriamo i racconti della risurrezione, molti sono gli aspetti che possono illuminare la nostra riflessione per la loro straordinaria bellezza. Tra questi emerge la piena identità tra il Crocifisso e il Risorto. Colui che è morto è lo stesso che è anche risorto, affermano i Vangeli. E mi pare significativo che a sancire questa piena identità tra prima e dopo siano alcune parole-chiave quali: «nazareno», «Nazaret», «Galilea».

Nel Vangelo di Marco, che molti studiosi riconoscono come il primo scritto, si incontra la sublime testimonianza dell’Angelo alle donne impaurite: «Voi cercate Gesù Nazareno, il Crocifisso. È risorto, non è qui!» (Mc 16,6). Nazaret dunque diventa il segno distintivo che permette di riconoscere che il Risorto è proprio quel Gesù che avevano conosciuto, seguito e amato in Galilea: Gesù di Nazaret, il virgulto del tronco di Iesse, colui che è il compimento di tutta la Scrittura e di ogni speranza umana.  Per sempre, come ricordava un piccolo fratello di Gesù, nei secoli dei secoli, il Risorto è il Nazareno, Gesù di Nazaret. Non è un morto che  fece grandi cose in vita, ma è «Colui che è vivo» adesso, e che non va ricercato tra i sepolcri e nel regno dei morti, bensì in quello dei vivi: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5).

Altro dato che fa da unione tra prima e dopo, tra il Crocifisso e il Risorto, tra la morte e la vita, è la regione geografica della Galilea. Durante la primizia della rivelazione pasquale, affidata a piene mani alla tipica sensibilità  femminile, i discepoli ricevono un invito, una convocazione. Per poterlo vedere, per fare esperienza del Dio vivente, non possono restare a Gerusalemme: devono tornare in Galilea. La Galilea rappresenta il luogo della vita normale, dove Gesù ha speso molti anni nel silenzio e nel nascondimento; ma la Galilea indica pure il luogo della rivelazione di Gesù, la regione da lui prediletta nella quale ha operato segni, ha guarito i malati, riportato in vita i morti, ridato la speranza agli uomini, annunciato il Vangelo ai poveri. In altre parole la Galilea è la regione in cui Gesù è diventato uomo, è cresciuto e ha attraversato tutte le fasi evolutive della sua esperienza umana, ha preso coscienza della sua missione e l’ha iniziata a realizzare, e in questo i discepoli sono stati compagni di cammino e testimoni. Anche in essi c’è stato un percorso; anch’essi sono diventati uomini e discepoli dietro a Gesù, provando a imparare a essere comunità, pur provenendo da esperienze e storie tanto diverse. In tale gruppo certamente c’era qualcosa di speciale, qualcosa o meglio Qualcuno che faceva da catalizzatore, da collante e da centro propulsore di vita. Questo Qualcuno era Gesù.

Mi sembra molto importante, alla fine di tutto ciò, l’invito del Risorto ad andare in Galilea. È lì che i discepoli lo potranno «vedere» ed incontrare. È in quella vita ordinaria della crescita personale e comunitaria che potranno passare dal «sapere che è risorto», all’«incontrare il Risorto».

Ancora una volta viene ribadito il fatto che esiste un solo luogo in cui si può essere discepoli di Gesù di Nazaret e testimoni di Vita e di Risurrezione, un solo luogo in definitiva in cui si può essere salvati: la vita reale. Non ci sono altre strade, altre dimensioni, momenti o tempi o situazioni particolari. Se il Risorto non si ritrova lì corriamo il rischio dell’illusione, oppure idealizziamo percorsi, ambienti, esperienze, persone. Nell’uno e nell’altro caso veniamo proiettati lontano dalla vita reale e non possiamo dirci credenti perché non siamo più uomini e donne.

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