La storia che Dio ha con Gerusalemme è una storia d’amore: ha scelto questa città, vi ha posto la propria dimora, l’ha sempre guardata con predilezione. Le ha consegnato una vocazione unica al mondo, quella di essere, insieme, dimora di Dio e casa accogliente per tutti i popoli; e le ha insegnato, con pazienza, che le due cose non possono essere disgiunte.
Si tratta però di una storia d’amore molto tormentata: il fatto che il Signore abbia messo il proprio domicilio a Gerusalemme non è di per sé garanzia di una vita pacifica e tranquilla, di un benessere facile e scontato, anzi! Nessun’altra città ha conosciuto una serie così impressionante di sventure… Dio abita a Gerusalemme come un fuoco perennemente acceso, e non è facile abitare nel fuoco. Gli abitanti di questa città sanno bene che vivervi è un privilegio e un compito non facile, perché Dio chiederà loro una fedeltà assoluta: a Gerusalemme non si vive se non per Lui.
È una città tutta sacra, e non solo nel tempio. I suoi abitanti vi devono vivere tutti come sacerdoti, continuamente rivolti al loro Signore. E che non venga loro in mente che basta abitarvi per essere pienamente inseriti nell’Alleanza! Bisogna portarla nella propria carne, come un segno. Un marchio fatto con il fuoco, appunto.
Per questo, essendo gli abitanti di Gerusalemme né migliori né peggiori dei cittadini di qualunque altra città, questa storia d’amore è fatta di tenere dichiarazioni d’amore e di grandi arrabbiature. Ci sono momenti, quando proprio l’esasperazione è all’estremo, che Dio decide d’andarsene almeno per un po’ (neanche Lui può resistere troppo a lungo lontano da Gerusalemme!). Lo si vede partire, come in una nuvola di gloria, dalla porta orientale (cfr Ez 10,18), dalla quale tornerà quando Israele sarà di nuovo capace di accoglierlo e di gioire della sua presenza. Nel libro di Ezechiele, l’assenza del Signore da Gerusalemme dura ben 33 capitoli…
Oppure, il Signore deciderà di consegnare la città in mano al potente di turno, e Gerusalemme conoscerà assedi, devastazioni, deportazioni dei suoi abitanti. Salvo che poi il Signore, vedendo il suo popolo partire, sente una stretta al cuore, e si mette in cammino con lui: così dicono i rabbini. Quando il tempo della conversione è compiuto, allora il Signore si dà da fare per preparare il ritorno, e tutta la creazione partecipa alla gioia di questo evento. E la storia ricomincia, sempre da capo, al punto che ancora oggi Gerusalemme è segnata e ferita da questa grande instabilità, per cui c’è sempre gente che arriva, che parte, che torna, che ricomincia…
Durante questa storia tormentata, nasce un desiderio, forte e reciproco: il desiderio che niente e nessuno separi più Gerusalemme dal proprio Dio, per cui la città si possa chiamare da quel giorno in poi: «Là è il Signore» (cfr Ez 48, 35). Il desiderio di Dio e quello di Israele si incontrano nella vita e nella morte di Gesù, alleanza nuova ed eterna: dalla Sua risurrezione in poi, le porte di Gerusalemme saranno sempre aperte, verso la terra e verso il cielo, in una comunicazione di vita ormai data per sempre.
Vivere questa storia è il senso del nostro stare qui. Non facciamo nient’altro, se non continuare ad «essere Gerusalemme», ad essere questa storia d’amore reale, con i suoi alti e bassi, che ha come unica garanzia la fedeltà del Signore, che non viene meno. Una storia che per continuare ha bisogno dell’uomo, perché la storia di Gerusalemme è anche la storia di ciascuno di noi, tutti abitati dallo stesso fuoco, destinati a portare lo stesso dolore… Anche la nostra vita conosce periodi in cui Dio esce dalla nostra vita. Ma, paradossalmente, proprio in quei frangenti il desiderio di Lui diventa vitale. E ci prepara ad accogliere la presenza definitiva del Dio d’amore, l’Emmanuele, e il dono del Suo Spirito; come un piccolo resto, che confida solo in Lui.
(* L’autrice è monaca di clausura nel monastero di Santa Chiara, a Gerusalemme)