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Due pesi, due misure

Giorgio Bernardelli
9 marzo 2012
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Tra le tante associazioni israeliane che lavorano per i diritti dei palestinesi ce n'è una che parla poco e realizza cose molto concrete. Si chiama Comet-Me e ha come suo motore due ingegneri. Noam Dotan ed Elad Orian hanno capito quanto un impianto fotovoltaico o una turbina eolica possano cambiare la vita alle popolazioni beduine. Ma ora il ministero della Difesa israeliano mette i bastoni tra le ruote.


Tra le tante associazioni di israeliani che lavorano per i diritti dei palestinesi ce n’è una che mi ha sempre colpito perché più che parlare realizza cose molto concrete. Si chiama Community, Energy and Technology in the Middle East – in sigla Comet-Me – e ha come suo motore due ingegneri che hanno scelto di mettere le nuove tecnologie al servizio della pace in Medio Oriente. Si tratta di una delle storie che ho raccontato nel mio libro Ponti non muri: Noam Dotan ed Elad Orian hanno capito quanto un impianto fotovoltaico o una turbina eolica possano cambiare la vita alle popolazioni beduine che vivono nei villaggi delle colline a Sud di Hebron. Solo che adesso hanno un problema non piccolo: la loro attività è finita nel mirino dell’amministrazione civile, l’organismo che – alle dipendenze del ministero della Difesa israeliano – amministra la Cisgiordania.

Da qualche settimana, infatti, la solitamente non loquace Comet-Me è attivissima sui social network per cercare di salvare i generatori di corrente di cinque villaggi ufficialmente «non riconosciuti» dagli israeliani. Sui loro pannelli solari pende infatti un’ordinanza di demolizione perché – applicando questa volta scrupolosamente alla lettera quanto previsto dagli Accordi di Oslo – l’amministrazione civile ha fatto notare che si trovano in area C, cioè in una di quelle tante porzioni della Cisgiordania ancora totalmente sotto giurisdizione israeliana. Dunque – essendo lì senza un permesso – sono abusivi. L’ipocrisia di questo provvedimento è somma. Intanto perché nella logica degli accordi di Oslo – datati 1993 – la giurisdizione esclusiva sulle aree C doveva essere provvisoria. Poi perché questi villaggi beduini sulle colline a Sud di Hebron ci sono sempre stati: sono quelli dei famosi pastori che ogni pellegrino fotografa quando li incrocia con il pullman. Essendo queste popolazioni seminomadi non sono mai state registrate ufficialmente su una carta geografica, ma ciò non significa che queste persone non esistano. L’idea poi che dei pannelli fotovoltaici siano una costruzione abusiva si commenta da sé.

La verità è che l’ordinanza dell’amministrazione civile vuole chiaramente mettere i bastoni tra le ruote a un’attività come quella di Comet-Me. Per un motivo molto semplice: un’iniziativa di questo tipo può voler dire futuro per popolazioni poverissime che vivono tuttora di pastorizia. Pensate a che cosa possa significare, in una situazione del genere, avere a disposizione un frigorifero o la possibilità di ricaricare le batterie di un cellulare: può diventare l’inizio di una piccola attività imprenditoriale, soprattutto quando le famiglie di pastori decidono di mettersi insieme. E se questo dovesse succedere sul serio, come fai poi a continuare a far finta che non esistano semplicemente perché non le hai segnate sulla carta geografica?

Ecco allora la battaglia che sta conducendo con loro Comet-Me. Che sul suo sito pubblica il facsimile di una lettera da spedire al ministro della Difesa israeliano Ehud Barak. Un paio di settimane fa su Haaretz – commentando questo appello – Akiva Eldar metteva in risalto lo scandalo dell’ennesima sproporzione tra l’atteggiamento tenuto con loro e quello riservato ai coloni. Perché le colline della Cisgiordania pullulano di outpost, cioè di insediamenti ebraici aggiuntivi rispetto alle colonie che nemmeno per la legge israeliana dovrebbero esserci. Su alcuni pende addirittura da anni una sentenza della Corte Suprema israeliana che ingiunge di sgomberarli. Ma il governo Netanyahu continua a rinviare perché prima vuole raggiungere un accordo con gli occupanti. Stiamo parlando di case costruite da coloni ebrei su terreni che in tribunale si è riuscito dimostrare essere di proprietà palestinese. Quelle restano, invece i pannelli solari di Comet-Me dovrebbero sparire. La speranza è che la mobilitazione dell’associazione – sostenute nelle sue attività anche dalla cooperazione tedesca – riesca a fermare almeno questa vergogna.

Clicca qui per vedere il sito di Comet-Me con la lettera appello a Ehud Barak

Clicca qui per leggere un articolo sulla vicenda di Al-Thala pubblicato sul Washington Post

Clicca qui per leggere su Haaretz l’articolo di Akiva Eldar

 

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