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A metà strada da Gerusalemme

padre Gwenolé Jeusset ofm
27 marzo 2012
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A Istanbul i pellegrini diretti a Gerusalemme, spesso a piedi, qualche volta in bicicletta, sono sempre più numerosi. Forse tra non molto la Turchia non tarderà ad assomigliare al cammino di Santiago di Compostela.

Se per la maggior parte si tratta di viandanti in cammino verso Cristo e la sua Terra, altri sono invece dei camminatori. Anche sulla strada per Gerusalemme si trovano persone che non sono cristiane: il cammino, per loro, riflette il desiderio di realizzare un’impresa o di dare un senso alla vita, senza cercare un vero incontro con Cristo. Una giovane donna, battezzata da un anno per «motivi culturali», desiderava trovare le radici della propria cultura europea ma non ci teneva proprio a incontrare preti! Speriamo che la via di Damasco riapra presto.

Ultimamente, al contrario, è stato il turno di un cristiano fattosi buddhista che aveva voglia di parlare. Curiosamente, nel registro degli ospiti, ha scritto che se ci avesse incontrato prima, non avrebbe abbandonato il cristianesimo. Quest’uomo non ha concluso il suo cammino a Gerusalemme, ma ha proseguito verso Alessandria per ritrovarvi tracce del buddhismo. Il re buddhista Ashoka, nel III secolo a.C., avrebbe inviato degli emissari fin lì. La questione meriterebbe di essere approfondita. È vero che Clemente Alessandrino, alla fine del II secolo, nel suo Miscellanea (I, XIV, 71) dice: «Ci sono in India anche coloro che obbediscono ai precetti di Buddha, che, per la sua grande santità, venerano come un dio» , il che sembra dimostrare che fin dall’antichità, se non gli uomini, almeno le idee andavano lontano.

Il più delle volte i pellegrini sono giovani adulti che non hanno fretta di entrare definitivamente nel mondo del lavoro, oppure pensionati che ne sono ormai usciti. Non consiglierò a dei settantenni di lanciarsi in quest’avventura, ma mi sono meravigliato di rivedere in Francia una coppia, all’incirca di questa età, ringiovanita dopo aver portato a termine seimila chilometri. C’è anche qualche sacerdote che osserva un anno sabbatico.

Non tutti raggiungono la meta. Una donna, che soffriva di depressione, è stata costretta a rientrare in patria. Un’altra, appena giunta sulla riva asiatica del Bosforo, è rimasta agganciata col suo zaino a un camion di passaggio, e si è ritrovata all’ospedale. L’anno successivo ha ripreso il cammino dal luogo stesso dell’incidente!

Una sera, è arrivato da noi un giovane ceco. Divorando 50 chilometri al giorno, è incappato nella frontiera israeliana, non so perché; posso solo immaginare il dispiacere di questo ragazzo, respinto proprio all’arrivo in Terra Santa dopo tanti sforzi. 

Con una cartolina da Gerusalemme, vengo a sapere il più delle volte del loro arrivo a destinazione.

Questo ministero dell’ascolto non era previsto nel nostro progetto di vita, consacrato all’ecumenismo e alla dimensione interreligiosa. Ma lo trovo comunque arricchente, per me e, dicono, per loro.

Dopo 3 mila chilometri, i pellegrini sono quasi sempre dei gran chiacchieroni… Sanno che dopo Istanbul, e fino alla frontiera siriana, non troveranno più parrocchie ma dovranno contare sull’ospitalità dei musulmani. Certo, bisogna cogliere il momento giusto per parlare ma, «lavorati» dal cammino già percorso e soprattutto dallo Spirito Santo, sono avidi di riflessioni; mi piace confrontarmi con loro sulle gioie e le difficoltà della vita con i musulmani. Mai li ho sentiti dire al loro ritorno e mai ho letto sui loro blog che non erano stati bene accolti.

Tra le pellegrine, due hanno trovato tanto chiaramente la propria strada da entrare in un monastero di Terra Santa da dove, spero, non si dimentichino di pregare per me.

(traduzione di R. Orlandi)

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