Se ne parlava da mesi, ma ora è arrivata ufficialmente la discesa in campo: il conduttore televisivo Yair Lapid sarà l’uomo nuovo della politica israeliana. Domenica si è dimesso dalla conduzione di Ulpan Shishi il suo popolarissimo programma che andava in onda il venerdì sera su Channel 2. Così ora si prepara a lanciare un nuovo partito centrista intorno a cui vorrebbe costruire l’alternativa a Benjamin Netanyahu.
È dunque ufficialmente cominciata in Israele la campagna elettorale in vista delle prossime elezioni. Che in teoria sarebbero in programma per l’ottobre 2013, ma sono in molti a scommettere che saranno molto prima. Anche perché a giorni è atteso il vero momento della verità per l’attuale governo: la decisione della magistratura sul ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, leader del partito Yizrael Beitenu, che potrebbe essere rinviato a giudizio per finanziamento illecito del partito. Prevedendo il peggio lo stesso Netanyahu qualche settimana fa ha annunciato a sorpresa l’intenzione di anticipare le primarie del Likud, che si terranno il 31 gennaio. In questo clima è stata annunciata anche un’altra candidatura eccellente: Noam Shalit – il padre di Gilad, il soldato israeliano rapito da Hamas e liberato qualche settimana fa dopo un accordo sullo scambio dei prigionieri – si candiderà nelle file dei laburisti.
Ma la domanda vera sui giornali israeliani è: la discesa in campo di Lapid cambierà davvero gli equilibri nella politica israeliana, interrompendo il lungo regno della destra? I sondaggi dicono che il partito dell’anchorman dovrebbe raccogliere un buon consenso, rubando però voti soprattutto a Kadima, il partito centrista fondato da Sharon e oggi guidato da Tzipi Livni. La verità, però, è che al di là dell’opposizione a Netanyahu Lapid politicamente è una grossa incognita: ha cavalcato la protesta sociale dell’estate scorsa; ma le sue proposte avevano più il sapore del manifesto populista che dell’iniziativa politica. Tra l’altro si preannuncia interessante il derby con la leader del partito laburista Sally Yachimovich, anche lei ex giornalista televisiva che aveva fatto il salto in politica in occasione della scorsa tornata elettorale. E pure lei accusata dai suoi detrattori di avere un programma politico estremamente debole.
Tra i giornali il più possibilista con Lapid è Yediot Ahronot, peraltro testata su cui lo stesso conduttore tivù fino a pochi giorni fa teneva una rubrica. Perplesso si dimostra invece Haaretz, che riflette bene lo scarso entusiasmo di una parte degli oppositori a Netanyahu. Quanto al Jerusalem Post, si dimostra più che altro lieto del fatto che Lapid abbia posto fine al doppio ruolo di giornalista e aspirante politico.
Uno dei veri nodi su cui si misureranno le credenziali di questo volto televisivo saranno le sue posizioni sui rapporti con il mondo degli haredim, i religiosi, al centro delle polemiche in queste settimane a Gerusalemme. Lapid è espressione dell’Israele laica: è il figlio di Tommy Lapid, anche lui giornalista sceso in politica per fondare il partito Shinui, fortemente schierato per la laicità dello Stato, che conobbe una certa fortuna in Israele negli anni Novanta. Come si porrà suo figlio Yair rispetto a questo tema? Sul fatto che strizzerà l’occhio agli israeliani indignati per lo strapotere dei partiti religiosi nell’Israele di Netanyahu non ci sono dubbi. Ma la strada della contrapposizione frontale oggi non gli gioverebbe: per sperare di avere qualche chance di successo deve strappare voti anche a destra. E quindi potrebbe cercare una strada nuova: tra le reazioni interessanti alla notizia della sua discesa in campo c’è quella di Arutz Sheva, agenzia sempre ben informata sulla destra religiosa. Sostiene che Lapid potrebbe allearsi con Chaim Amsallem, un deputato dello Shas in rotta di collisione coi vertici del partito. Un religioso che sostiene che gli haredim dovrebbero arruolarsi nell’esercito come gli altri e studiare la matematica e l’inglese nelle loro scuole. Se fosse davvero così, Netanyahu potrebbe cominciare ad avere qualcosa da temere.
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