La Santa Sede ha reso noto oggi che il Papa ha chiesto a mons. Maroun Elias Lahham un nuovo servizio: dovrà infatti lasciare la sede di Tunisi, di cui era arcivescovo dal 2005, per trasferirsi ad Amman, come vicario del patriarca latino di Gerusalemme per la Giordania. Subentrerà a mons. Salim Sayegh, che lascia per raggiunti limiti d’età.
(Milano/g.c.) – Ha seguito con attenzione e partecipazione gli eventi della Primavera araba che, dalla Tunisia, si è propagata in tutto il Medio Oriente, offrendo una lettura sempre lucida e coerente di una stagione che ha cambiato (o sconvolto) l’intera regione. Ha cercato di trasmettere «con gli occhi della fede» al piccolo gregge dei cristiani presenti a Tunisi (circa 20 mila) una lettura provvidenziale degli eventi che hanno mosso le masse e agitato le piazze.
Da oggi, però, il Papa ha chiesto a mons. Maroun Elias Lahham un nuovo servizio: dovrà infatti lasciare la sede di Tunisi, di cui era arcivescovo dal 2005, per Amman, dove è stato nominato vicario del patriarca latino di Gerusalemme per la Giordania. Subentra a mons. Salim Sayegh, che ha lasciato per raggiunti limiti d’età. La comunità latina giordana è una delle più vivaci del Medio Oriente, con parrocchie, scuole (tra cui la neonata università cattolica di Madaba) e opere assistenziali di ottimo livello. E uno stile di presenza sociale, voluto fortemente da mons. Sayegh, che ha ritagliato per la Chiesa un ruolo da protagonista nella vita nazionale.
Monsignor Lahham, pur avendo vissuto a lungo in Palestina e a Gerusalemme, in Giordania è di casa. Anzi, ci è nato nel 1948. È infatti originario di Irbid, nel nord del Paese. Ordinato sacerdote nel 1972, ha svolto il ministero come vicario parrocchiale nella parrocchia di Cristo Re ad Amman, nelle missioni della diocesi patriarcale nel Golfo, a Fuheis, e quindi come parroco a Madaba. Prima di essere nominato arcivescovo di Tunisi, è stato rettore del seminario patriarcale di Beit Jala, nei sobborghi di Betlemme.
Durante il periodo trascorso a Tunisi, ha pubblicato quattro lettere pastorali. Nell’ultima («Ecco, io faccio nuove tutte le cose», 2011) aveva cercato di analizzare alla luce del Vangelo le istanze scaturite dalla Primavera araba. «I giovani, ma non solo loro – scriveva – chiedono libertà, dignità, giustizia, democrazia, libertà di parola, accesso ai media». Istanze che vanno di pari passo con «il cammino lento, ma deciso verso la democrazia, il ritorno dei partiti islamici con i timori che essi provocano, il pericolo di un periodo di vuoto politico ed economico nella transizione verso elezioni libere e democratiche». Tutto questo, scriveva mons. Lahham. chiede alla Chiesa «di farsi povera» nel servizio al popolo tunisino ma anche «accettare di operare in un Paese musulmano quasi al 100 per cento», il che vuol dire «non solo testimoniare la fede in Gesù Cristo, ma anche scoprire nella vita di quel popolo non cristiano i doni che Dio gli ha fatto per arricchire la nostra fede».
Uno stile di apertura e dialogo che certamente l’arcivescovo riaffermerà anche nel nuovo ministero a cui è appena stato chiamato.