Lo scorso 16 dicembre è stata inaugurata a Venezia, nelle sale del Museo Correr, la mostra Armenia. Impronte di una civiltà. La mostra, che rimarrà aperta fino al 10 aprile, vuole celebrare il quinto centenario della stampa del primo libro in lingua armena nella città lagunare, evento che lasciò un’impronta incancellabile nella rinascita spirituale e culturale della nazione armena.
Lo scorso 16 dicembre è stata inaugurata a Venezia, nelle sale del Museo Correr, la mostra Armenia. Impronte di una civiltà. Occasione della mostra, che rimarrà aperta fino al 10 aprile, è la celebrazione del cinquecentenario della stampa del primo libro in lingua armena nella città lagunare, avvenuta nel 1512, evento destinato a lasciare un’impronta incancellabile nella rinascita spirituale e culturale della nazione armena. Come sottolineato dal presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, nella presentazione del Catalogo della mostra, Venezia, città della diaspora occidentale armena per eccellenza, resta incisa nel cuore di molti armeni sparsi per il mondo perché attraverso la pubblicazione del primo libro in lingua armena ha contribuito a salvaguardare la memoria di un grande popolo.
Serzh Sargsyan, presidente della Repubblica d’Armenia, esprime la certezza che presentando all’ammirazione del pubblico una ricca serie di manoscritti di tanti scienziati e pensatori armeni, la mostra permetta di capire l’apporto fondamentale dato dalla civiltà armena alla cultura mondiale. Girando per le diverse sale della mostra, il visitatore può infatti avere un’occasione esclusiva di conoscere e assaporare i più alti conseguimenti della civiltà armena in ambito spirituale, architettonico, economico e scientifico-culturale, un patrimonio di cultura, d’arte e di civiltà ben superiore in proporzione alla consistenza numerica del suo popolo e all’estensione del suo territorio e del suo potere politico.
La mostra, curata da Gabriella Uluhogian, Boghos Levon Zekiyan e Vartan Karapetian, presenta, in un ricco e affascinante percorso cronologico e tematico, oltre duecento opere provenienti in particolare dal tesoro della Santa Sede di Etchmiadzin, Chiesa madre della Chiesa apostolica armena, dai musei di Yerevan e dal museo della comunità mechitarista dell’isola di San Lazzaro a Venezia. Essa si apre, giustamente, con la presentazione di un grande quadro proveniente dalla Galleria nazionale dell’Armenia di Yerevan, dal titolo Discesa di Noè dal monte Ararat: da lì, infatti, ha preso avvio un’avventura umana unica, lunga, dolorosa e gloriosa, ancor oggi più che mai viva.
Oltre a numerosi oggetti di pregiata oreficeria (come reliquiari, contenenti frammenti dell’Arca di Noè o della Santa Croce, e portaincenso), mappe antiche, quadri, tappeti, splendidi khachkar (le elaborate croci in pietra, emblema della spiritualità armena), la parte del leone degli oggetti in mostra è costituita da materiale scritto. La lingua – con l’alfabeto che ne è espressione – e la religione cristiana sono sempre stati gli elementi distintivi del popolo armeno durante tutta la sua travagliata esistenza; il tenace attaccamento alla propria lingua e alla propria religione hanno permesso agli armeni di sopravvivere alle terribili vicende storiche per le quali sono passati. L’invenzione dell’alfabeto armeno, nel 405, costituisce infatti, insieme con la conversione al cristianesimo avvenuta nei primi anni del IV secolo, uno degli eventi più significativi della storia armena. La «venerazione» per la propria lingua (solo in Armenia si trovano monumenti dedicati alle lettere dell’alfabeto!) ha portato gli armeni di tutti i secoli ad avere uno speciale attaccamento per il «libro», icona del sapere, sì che alcuni hanno definito la civiltà armena come la «civiltà del libro»: durante il genocidio del Ventesimo secolo molti armeni hanno messo a repentaglio la propria vita pur di salvare i tesori della propria produzione libraria.
E così, girando per le varie sale della mostra, si incontrano le splendide miniature medievali, applicate a manoscritti sia con testi profani (il Romanzo di Alessandro) sia con testi religiosi (Bibbie e Vangeli; questi ultimi con le caratteristiche tavole di corcondanza, secondo un sistema elaborato nel IV secolo da Eusebio di Cesarea). L’osservatore attento noterà come da un primo utilizzo della scrittura maiuscola si passi successivamente all’introduzione anche della minuscola. Non mancano testi storici (come la Storia di Vardan e della Guerra degli Armeni, di Yeghishe, autore del V secolo), testi scientifici (come l’interessante Inutile agli ignoranti, vera e propria enciclopedia della medicina e farmacologia armena medievale), giuridici (come il Codice dei processi di Mekhitar Gosh), filosofici, patristici. Particolare nota merita il Cronichon di Eusebio di Cesarea, opera storiografica giunta fino a noi nella sola traduzione armena, essendo andato perduto l’originale in greco. Curioso è poi lo strano ed elaboratissimo Segnamecca, oggetto scientifico prodotto con lo scopo di segnalare in maniera accurata la posizione della Mecca, la città santa dell’islam, su una mappa geografica; quello in mostra è opera di un armeno, su commissione di un dragomanno alla corte borbonica del regno di Napoli.
Le ultime sale sono dedicate, invece, alla documentazione relativa ai rapporti e ai contatti tra armeni e veneziani, rapporti che risalgono quasi alle origini della città lagunare ma che divennero sempre più stretti con il periodo delle crociate. A Venezia si stabilì una numerosa comunità armena, costituita in prevalenza da mercanti, che aveva il suo centro religioso nella chiesa di Santa Croce degli Armeni. E in Venezia, tra il 1511 e il 1512, fu stampato il primo libro in lingua armena, un libro di preghiere ed esorcismi noto come Libro del Venerdì, antesignano di una copiosissima produzione libraria, accresciutasi con la presenza stabile in laguna, a partire dal 1715, della comunità dei padri mechitaristi, fondata da Mekhitar di Sebaste, che seppero, con la laboriosa e illuminata dedizione che li contraddistingue, portarla all’apice della perfezione.
Tra le tantissime opere di questo fecondo periodo, si citano anche i dizionari e i frasari per permettere ai mercanti armeni di apprendere la lingua veneta o il toscano. Gli armeni di Venezia seppero tenere contatti con altre comunità della diaspora armena, come quella di Madras, in India, quella di Nuova Gulfa, in Persia, o quelle di Leopoli e San Pietroburgo, nell’impero russo, alle quali fornirono materiale tipografico, così che potessero stampare materiale utile per opporsi alla predicazione dei missionari cattolici.
I visitatori non si limiteranno agli spazi museali: essi potranno esplorare i luoghi armeni di Venezia, seguendo alcuni interessanti itinerari «disegnati» dai curatori, a partire dalla suggestiva isola di San Lazzaro, dove la sezione dedicata alla stampa e ai rapporti armeno-veneziani «traghetterà» al termine della mostra, presso il Museo della Congregazione Armena Mechitarista sino a fine estate 2012.
(Un ricco e prezioso catalogo, edito da Skira, con contributi di insigni studiosi internazionali e della Scuola degli armenisti italiani, è in vendita presso il bookshop del museo, al prezzo di 42,00 euro).