In tutti i pellegrinaggi che ho accompagnato in Terra Santa, ai pellegrini è rimasta particolarmente cara la celebrazione della «rinnovazione dei voti coniugali» nel santuario di Cana in Galilea. Ho incontrato coppie sposate da decenni (anche sei, in un caso), piene di gratitudine per gli anni trascorsi insieme e anelanti a trascorrerne, a Dio piacendo, altrettanti; ma anche coppie giovani, piene di entusiasmo, grate del dono fatto loro dalla Provvidenza di potersi unire in matrimonio, e decise a vivere per sempre quelle loro reciproche promesse. Ho avuto il piacere d’incontrare anche coppie «in mezzo al cammin di loro vita», oberate da tante preoccupazioni, che volevano rivivere il giovanile entusiasmo per poter affrontare le sfide del presente e quelle ancora future.
Quello di Cana infatti è il santuario dell’amore di coppia. Lì il Signore Gesù volle che il primo «segno» della Sua missione redentrice (cfr Gv 2, 11) significasse proprio la redenzione e la consacrazione dell’amore umano, del matrimonio ch’egli volle elevato a sacramento della sua unione d’amore con la Chiesa.
La gioia e l’azione di grazie delle coppie felicemente sposate in Cristo non dovrebbe però essere occasione di tristezza e dolore per chi tale grazia effettivamente non l’ha. La «rinnovazione dei voti coniugali» è possibile anche per le persone, che seppur sposate, non sono accompagnate in pellegrinaggio dai propri coniugi, per motivi di età, infermità, lavoro o insufficienza di mezzi economici o altri simili. Nella celebrazione le si coinvolge con la menzione esplicita dei coniugi, ritenuti come presenti. Poi un pensiero va ai vedovi e alle vedove, per rendere grazie assieme a loro per il matrimonio che è stato, per l’amore perseverante di entrambi, anche se oramai la coppia è separata dal mistero della morte, dall’avvenuto passaggio del marito o della moglie «a miglior vita».
Ma, di questi tempi, un pensiero va pure ai divorziati presenti. Così insisto sempre nello spiegare che l’amore, che comunque almeno per un tempo c’è stato, non si deve ritenere cancellato, come se mai ci fosse stato, ma piuttosto lo si deve pensare con gratitudine, come entrato ormai nell’eternità, e là custodito, anche se su questa terra non più manifestato. E per confortare chi sposato mai è stato, perché non si senta «escluso» dalla nostra festa, tocchiamo il tema del valore certo non minore, anche se diverso, dell’amore verso il prossimo, da vivere nelle opere di carità, piccole e grandi, quotidiane e non solo «eroiche», dell’amore di famiglia – esso sì, spesso eroico per chi accudisce papà o mamma anziani ed infermi – dell’amore di amicizia fedele e generoso. Tutto perché non si pensi che, nel santificare le nozze, Cristo Signore abbia voluto sminuire il valore umano e spirituale di tutti gli altri modi in cui gli esseri umani amano davvero.
Non ultimo un pensiero alla consacrazione religiosa e sacerdotale, di cui non possiamo mancare di parlare proprio nel Santuario dell’amore sponsale. Mi preme sempre evidenziare in tali occasioni che è proprio l’amore – per Dio, e in Dio, del prossimo – che della vocazione sacerdotale e religiosa costituisce il nucleo. Non semplicemente la decisione «fredda», ragionata, di dedicarsi ad un particolare servizio, ma la glorificazione di questo amore ardente, prodigo, irresistibile, appassionato, magnifico!