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Immigrati nel Golfo, diritti conculcati

Giorgio Bernardelli
31 gennaio 2012
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Immigrati nel Golfo, diritti conculcati
Lavoratori immigrati negli Emirati Arabi Uniti (foto di repertorio).

Siamo abituati a parlare di immigrazione sempre e solo come un fenomeno che ha come meta i Paesi dell'Occidente. Così spesso e volentieri dimentichiamo che le nuove rotte globali del mercato del lavoro si spingono anche verso Sud. Con situazioni anche inedite come le centinaia di migliaia di cristiani indiani, filippini o africani che oggi vivono in Paesi rigidamente islamici come l'Arabia Saudita o gli Stati del Golfo...


Siamo abituati a parlare di immigrazione sempre e solo come un fenomeno che ha come meta i Paesi dell’Occidente. Così spesso e volentieri dimentichiamo che le nuove rotte globali del mercato del lavoro si spingono anche verso Sud. Con situazioni anche inedite come le centinaia di migliaia di cristiani indiani, filippini o africani che oggi vivono in Paesi rigidamente islamici come l’Arabia Saudita o gli Stati del Golfo. A rinfrescare la memoria – e a ricordare anche le sofferenze di queste comunità – ci pensano due notizie pubblicate in queste ultime ore.

La prima è una denuncia firmata da Human Rights Watch, una delle più importanti organizzazioni mondiali per la difesa dei diritti umani. Riguarda l’Arabia Saudita e in particolari la sorte di 35 cristiani etiopi (in maggioranza donne) arrestati ancora prima di Natale a Gedda perché si erano radunati a pregare in una casa privata. La denuncia è molto dettagliata e parla dell’espulsione che sta per scattare nei loro confronti, dopo una detenzione in condizioni a dir poco umilianti. Ma la denuncia cita anche un altro elemento che fa riflettere: non si tratta della stessa Arabia Saudita – si chiede Human Rights Watch – che vorrebbe giocare un ruolo di primo piano nel dialogo interreligioso? Il riferimento è al centro che la famiglia reale degli al Saud sta facendo costruire a Vienna proprio per questo scopo. Appena tre mesi fa la nascita di questa struttura venne annunciata con grande enfasi, confermando il fatto che anche quello del dialogo interreligioso è un palcoscenico politico sul quale i sauditi mirano a giocare un ruolo. Quanto sta accadendo a Gedda – però – conferma che un conto sono le parole un altro i fatti. Soprattutto quando i cristiani con cui dialogare sono un gruppo (debole) di lavoratori migranti.

Non devono, però, fare i conti solo con violenze clamorose come queste i lavoratori migranti che vivono tra l’Arabia e il Golfo Persico: ci sono anche le forme molto più nascoste di sfruttamento e umiliazione. Ce ne parla l’altra notizia che rilanciamo dal sito di The National, il quotidiano degli Emirati Arabi Uniti: a Dubai – si legge – è raddoppiata la tariffa per far tornare nella terra d’origine la salma dei lavoratori morti. Fino a dicembre una bara costava 1.200 dirham (circa 250 euro), da gennaio sono diventati 2.300 (475 euro). Che sommati a tutte le altre pratiche portano a una spesa complessiva di circa 5 mila dirham (1.030 euro), che non sono affatto pochi per un lavoratore immigrato. A stabilire l’aumento è stato l’unico operatore autorizzato per questo servizio dall’ente aeroportuale di Dubai che – operando in regime di monopolio – può fare il bello e il cattivo tempo. Sulle spalle dei lavoratori stranieri.

Nel cuore del mondo arabo che ribolle ci sono anche loro. Quelli che oggi hanno paura di trovarsi a pagare il prezzo più alto delle «primavere» e delle crisi globali (come peraltro puntualmente già successo agli africani che lavoravano in Libia). Si misura anche intorno al riconoscimento dei loro diritti la possibilità di una svolta vera in questo angolo del mondo da dodici mesi in pieno movimento.

Clicca qui per leggere il comunicato di Human Rights Watch

Clicca qui per leggere la notizia di The National

 

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