Il gesuita di origini ebraiche David Neuhaus è vicario patriarcale per i cattolici di lingua ebraica a Gerusalemme. Se gli si chiede di tracciare un quadro delle priorità pastorali della piccola comunità ebreofona di Terra Santa, indica senza dubbio la predisposizione e la traduzione di appropriati sussidi come una delle strade obbligate.
(Milano) – «Un primo grande sforzo è stato fatto: la pubblicazione in tre volumi del catechismo per i bambini in ebraico. Per il 2012 abbiamo in programma altri due volumi che riteniamo di primaria importanza per il nostro lavoro pastorale: il primo dedicato alla liturgia eucaristica (Conoscere la messa), il secondo ai santi (Conoscere i santi)».
Padre David Neuhaus, gesuita di origini ebraiche, è vicario patriarcale per i cattolici di lingua ebraica a Gerusalemme. Se gli si chiede di tracciare un quadro delle priorità pastorali della piccola comunità ebreofona di Terra Santa sotto la giurisdizione del patriarca latino, indica senza dubbio la predisposizione e la traduzione di appropriati sussidi come una delle strade obbligate.
«Abbiamo lavorato al progetto del catechismo per i bambini per tre anni, con l’aiuto economico della Fondazione Giovanni Paolo II. Il primo volume (Conoscere Gesù) è uscito nel 2009; il secondo (Conoscere la Chiesa) nel 2010. L’anno scorso è stato pubblicato il terzo volume (Conoscere le feste e i tempi liturgici della Chiesa). Ma il progetto più ambizioso al quale stiamo lavorando è la traduzione in lingua ebraica del Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica. Una volta la settimana un gruppo di traduttori si ritrova ad Haifa e a Gerusalemme per lavorare insieme».
Gli ebrei cattolici sono circa 500 in tutta Israele, divisi in sei parrocchie. Ma nel Paese esiste un secondo consistente gruppo di cattolici, diverse decine di migliaia, che parla abitualmente ebraico. «È difficile definire oggi un profilo dei cattolici di lingua ebraica – spiega padre Neuhaus –. Abbiamo in comune la lingua ebraica, viviamo all’intero dello Stato d’Israele e siamo integrati nella società israeliana. Ma le nostre origini sono le più diverse: alcuni sono ebrei che hanno incontrato Gesù Cristo, alcuni sono coniugi o familiari di ebrei, altri sono arabi palestinesi che vivono in un contesto quasi esclusivamente ebraico per ragioni di lavoro, di studio o altro (ci sono famiglie arabo-cristiane che frequentano la parrocchia ebreofona a Beer Sheva, Tiberiade o Jaffa). Altri ancora sono stranieri che hanno scelto di vivere in Israele. Poi ci sono i lavoratori stranieri e i richiedenti asilo…».
Ma anche le culture da cui provengono i cattolici ebreofoni sono le più disparate. «C’è chi viene dall’Europa anglofona e da quella latina, ma i lavoratori stranieri sono in maniera preponderante asiatici o africani richiedenti asilo. Alcuni sono nati in Israele, altri sono qui da lungo tempo. Altri ancora sono appena arrivati. Qualcuno ha la cittadinanza ebraica, altri sono clandestini. C’è chi parla un eccellente ebraico e chi invece incespica. Eppure l’ebraico è la sola lingua che abbiamo in comune. Sul versante politico non è da meno: al nostro interno sono rappresentate tutte le divisioni del Paese e tutti i possibili orientamenti politici».
Ecco perché la traduzione dei catechismi e la realizzazione di altri sussidi liturgici è una carta da giocare anche nel rapporto con l’ebraismo e la maggioranza degli israeliani, che spesso ignorano (o poco conoscono) il cristianesimo. «I nostri catechismi e il nostro sito internet stanno riscuotendo interesse nella società israeliana. È importante che gli ebrei si rendano conto che l’ebraico, considerato esclusivamente la lingua degli ebrei, è oggi usato anche per parlare di cristianesimo, in vari ambiti: liturgico, teologico ed educativo… Questo innesca spesso con i nostri fratelli e sorelle ebrei, che sono abituati a considerarci unicamente come una minoranza piccola e vulnerabile, un dialogo costruttivo. Noi siamo cercando di adattarci alla società in cui viviamo (che è di lingua e cultura ebraica) come in passato gli ebrei della diaspora cercarono di adattarsi alle società a maggioranza cristiana in cui si trovarono a vivere. Stiamo cercando rimarcare nei nostri testi le radici ebraiche del cristianesimo, l’identità ebraica di Cristo, la nostra completa adesione alla Bibbia e il profondo amore per il popolo d’israele. Nello stesso tempo siamo chiamati a rispettare il nostro radicamento come cristiani in una Chiesa che è per la sua maggioranza di lingua e cultura araba, insieme alla quale preghiamo incessantemente per la giustizia e per la pace».