In Siria è stata annunciata l'espulsione di padre Paolo Dall'Oglio, gesuita, fondatore della comunità monastica di Deir Mar Musa. Il religioso vive nel Paese mediorientale da 30 anni, e si è sempre dedicato al dialogo tra cristiani e musulmani. La notizia della sua espulsione mina una delle più note esperienze di dialogo tra credenti di diverse fedi.
(Milano/c.g.) – In Siria è stata annunciata l’espulsione di padre Paolo Dall’Oglio, gesuita, fondatore della comunità monastica di Deir Mar Musa al-Habachi, vicino Nabak. Il religioso vive nel Paese mediorientale da 30 anni, e si è sempre dedicato al dialogo tra cristiani e musulmani. La notizia della sua espulsione, che mina una delle più note esperienze di dialogo tra credenti di diverse fedi, giunge in un momento tragico per Damasco, dilaniata dagli scontri interni. Nell’intento di fermare quella che sempre di più sembra avere le caratteristiche di una guerra civile, infatti, la Lega Araba ha deciso di imporre alcune gravi sanzioni alla Siria. Tra i provvedimenti decisi, lo stop alle relazioni tra i Paesi della Lega Araba e la Banca centrale siriana, l’interdizione all’espatrio per i pubblici ufficiali siriani, e il blocco del commercio con i Paesi arabi. Blocco che potrebbe avere esiti molto dolorosi, visto che oltre la metà dell’export siriano è diretto verso nazioni arabe. L’annuncio del blocco ha provocato infatti reazioni preoccupate tra alcuni dei Paesi confinanti, come il Libano e la Giordania, che subiranno inevitabilmente una forte diminuzione dei loro scambi commerciali.
«Ho dei doveri religiosi, monastici e di presenza con la gente del posto – ha spiegato padre Dall’Oglio a Radio Vaticana, dopo l’annuncio dell’espulsione -, che alla fine deve essere la prima e la più importante. Per questo, per poter rimanere in Siria propongo al vescovo, e ho proposto allo Stato siriano nella figura della sua massima autorità, di accettare da parte mia un maggiore impegno spirituale, a fronte di un impegno minore sul versante culturale e politico. Spero che questa mia domanda sia accolta e che io non sia costretto a lasciare il Paese, che considero il luogo del mio apostolato, la mia patria di elezione, il luogo del mio impegno. A Deir Mar Musa siamo una ventina di persone, fratelli e sorelle, di diversi Paesi: tutti studiano l’arabo, tutti studiano il cristianesimo orientale e anche la religione musulmana e si dedicano all’ospitalità».
Sul sito web della comunità di Deir Mar Musa è stato pubblicato di recente un messaggio in vista del Natale 2011, che suona come un pressante appello per la riconciliazione: «Il nostro Paese è in serio pericolo – recita tra l’altro il testo -. Ci siamo divisi, schierandoci in fronti opposti. Dobbiamo però chiederci quale sia il nostro dovere come comunità che obbedisce al Vangelo. Oggi, stiamo servendo l’armonia e la riconciliazione come in passato? Molti profetizzano una rapida fine degli eventi drammatici che stiamo vivendo con la vittoria dell’una o dell’altra parte. Altri sperano nell’escalation della violenza, nella divisione del Paese con centinaia di migliaia di vittime, nella mancanza di unità e indipendenza e nel declino della Siria. La cosa più importante che vogliamo dire però è questa: qualsiasi cosa avvenga in Siria, e quali che siano gli esiti di questa situazione, noi saremo solidali con ogni siriano, a prescindere dalla sua appartenenza politica, religiosa, etnica e linguistica. Saremo solidali coi nostri vicini, senza alcuna discriminazione, schierandoci comunque per la difesa degli oppressi e per la giustizia. Non è tanto questo il momento di dare giudizi ma occorre invece dire a tutti che desideriamo servire la riconciliazione e darne prova nei fatti. In ogni caso, sappiamo che non c’è alternativa alla riconciliazione. Sentiamo che in questa crisi il nostro ruolo è quello di chi si spende per il dialogo e la comunicazione, costruendo ponti al servizio della riconciliazione».