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Primavera araba e sete di democrazia

Manuela Borraccino
29 novembre 2011
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Hosni Mubarak si è comportato con il popolo egiziano come un affittuario che non ha rispettato il patto di restituzione della casa. È solo una delle metafore alle quali ricorre lo scrittore ‘Ala al-Aswani nel suo saggio La rivoluzione egiziana, tradotto e curato dalla storica e giornalista Paola Caridi. Una lettura utile per capire l'Egitto di oggi e le prospettive che lo attendono.


Hosni Mubarak si è comportato con il popolo egiziano come un affittuario che non ha rispettato il patto di restituzione della casa: è stata questa prepotenza a provocare l’ira del proprietario, che ha finito per usare le maniere forti pur di rientrare in possesso dell’appartamento. È solo una delle metafore alle quali ricorre lo scrittore ‘Ala al-Aswani per spiegare dove affondino le radici della caduta di Mubarak nel saggio La rivoluzione egiziana, tradotto e curato dalla storica e giornalista Paola Caridi.

Figura di spicco dell’intellighenzia araba, ben noto oltre i confini del suo Paese, il dentista e scrittore al-Aswani è stato tra i fondatori nell’aprile 2009 del movimento Kefaya («Basta»). Il saggio ripercorre, attraverso analisi pubblicate a partire dal 2006, il cammino compiuto da quella vasta area di cittadini che si sono uniti alle battaglie per la democrazia, fino a trovare il coraggio di scendere in piazza e costringere il raìs alla resa con la Rivoluzione che, dal 25 gennaio scorso, sta cambiando l’assetto dell’intero mondo arabo.

Corruzione diffusa, uso sistematico della tortura e degli stupri pur di soffocare qualsiasi forma di dissenso, abuso di potere da parte delle gerarchie nella pubblica amministrazione, negli ospedali, nelle università, assenza dello Stato di diritto, disprezzo dei diritti umani e dei legittimi aneliti dei cittadini a vivere con dignità e rispetto: non un solo fattore tra quelli che sono stati il motore della Primavera araba viene trascurato dallo scrittore nella serie di denunce apparse su diversi giornali dell’opposizione, dal foglio nasseriano al-Arabi al quotidiano indipendente al Masri al-Youm. Quest’ultimo in particolare, oggi una delle testate di riferimento degli attivisti, ha ospitato tra gennaio e giugno 2011 gli editoriali che offrono uno spaccato illuminante per capire la portata delle questioni aperte dal processo rivoluzionario e i rischi di una contro-rivoluzione messa in atto dalle forze leali al regime di Mubarak. Sono proprio queste forze – e non i cittadini che chiedono riforme, indica al-Aswani  negli articoli dedicati all’assassinio del generale Batran e agli scontri di questi mesi durante i quali 1.000 persone hanno perso la vita e 1.400 hanno perso gli occhi per i proiettili di gomma usati dai poliziotti – che stanno spingendo l’Egitto verso il caos e la destabilizzazione.

Tra i mali endemici descritti con efficacia dell’autore di Palazzo Yacoubian non potevano mancare la piaga delle molestie sessuali inflitte alle donne, e in particolare al 98 per cento delle turiste straniere, secondo la denuncia del rapporto 2009 del Centro egiziano per l’educazione ai diritti umani. Così come il fenomeno dei nuovi predicatori che a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, con l’islamizzazione della società portata avanti dagli esponenti dell’ideologia fondamentalista e della scuola di pensiero wahabita saudita, stanno spingendo verso un oscurantismo medioevale gli strati più poveri e meno istruiti del Paese che nel ‘900 è stato la guida politica e culturale del mondo arabo.

Mai una volta, rimarca al-Aswani, che essi parlino di libertà, giustizia e uguaglianza anziché di precetti coranici. «Quando ci chiediamo come mai gli egiziani non si rivoltino contro ingiustizie che sarebbero sufficienti a scatenare una rivoluzione in altri Paesi – scriveva l’Autore nell’agosto 2009 a proposito dell’influenza di questi ulema – dobbiamo comprendere che l’esistenza dell’ingiustizia, o persino la consapevolezza dell’ingiustizia, non basta per scatenare una rivoluzione. Ciò che causa una rivoluzione è la consapevolezza delle cause dell’ingiustizia, motivo per il quale tutto ciò che impedisce al popolo di essere cosciente dei suoi diritti diviene uno strumento nelle mani del dispotismo».

Al-Aswani ha affrontato a più riprese le discriminazioni inflitte ai copti denunciando allo stesso tempo l’anacronistico sostegno accordato dal patriarca ortodosso Shenuda III all’ex presidente Mubarak ed il suo endorsement alla successione del figlio Gamal. Fin dal 2009 lo scrittore attaccava il patriarca: «Se è vero che stiamo lottando per costruire uno Stato laico, in cui i cittadini abbiano uguali e pieni diritti a prescindere dalla loro fede, uno Stato dunque che esige la separazione fra fede e politica, papa Shenouda sta facendo esattamente l’opposto». Quanto alle paure che il cambio di regime potesse portare al potere i Fratelli musulmani, al-Aswani replicava: «La verità è che il potere ha deliberatamente ingigantito il ruolo e l’influenza dei Fratelli musulmani usandoli come lo spauracchio contro chiunque chieda democrazia, e la verità più importante è che il dispotismo non difenderà mai nessuno dall’estremismo religioso, perché è l’estremismo religioso a essere uno dei sintomi del dispotismo». Ecco perché, secondo l’intellettuale, il primo modo per salvare i copti dall’oppressione è «farli entrare come egiziani in un movimento nazionale che cerchi di ottenere la giustizia per tutto il popolo».

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