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Per un pugno di giusti

Giampiero Sandionigi
9 novembre 2011
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Assisi non era il Paradiso nel 1943-44. Tra la popolazione non mancavano le spie della polizia segreta fascista o i convinti sostenitori di un regime ormai al tramonto. E tuttavia, oltre al francescano Rufino Niccacci - di cui ricorre quest’anno il centenario dalla nascita - altre persone rette non rimasero alla finestra e difesero gli ebrei.


Assisi non era il Paradiso nel 1943-44. Tra la popolazione non mancavano le spie della polizia segreta fascista o i convinti sostenitori di un regime ormai al tramonto. Pure qualche prete fu sommariamente tolto di mezzo dai partigiani che lo reputavano troppo militante nell’adesione al Fascio.

E tuttavia, come il francescano Rufino Niccacci – di cui ricorre quest’anno il centenario dalla nascita -, vi furono persone rette in città, che non scesero a patti con la propria buona coscienza e non rimasero alla finestra.

C’era il podestà anzitutto. Nel settembre 1943 molti ebrei decisero di riparare ad Assisi anche perché correva voce che lui, pur essendo iscritto al Partito fascista, fosse uomo di cui fidarsi. Cresciuto in orfanotrofio, l’avvocato Arnaldo Fortini s’era fatto da sé. La laurea in legge gli aveva permesso di accedere a una professione di prestigio, ma lui coltivava con passione anche interessi per la storia, la poesia e la musica. Innamorato della sua città, la governava dal 1923 e le aveva ridato lustro, promuovendo tra l’altro manifestazioni come il Calendimaggio e la Cavalcata di Satriano, ancor oggi celebrate ogni anno. Fortini era uno studioso di san Francesco e del contesto in cui il santo visse a cavallo tra il Dodicesimo e Tredicesimo secolo. Anche in forza di questa sua competenza, nel 1927, in occasione del settimo centenario della morte del Poverello, il podestà aveva contribuito a far parlare d’Assisi in mezzo modo. La sua vicenda personale gli aveva insegnato cosa fosse la pietà umana. Giovane laureato sotto le armi durante la prima guerra mondiale, era stato chiamato a difendere davanti ai tribunali militari i giovani commilitoni accusati d’esser disertori e destinati al plotone d’esecuzione. Parecchi ne aveva salvati, dimostrando l’infondatezza delle accuse, altri li aveva accompagnati alla morte, condividendo lo strazio delle famiglie… Uno così difficilmente avrebbe potuto consegnare gli sfollati ebrei nelle mani dei loro nemici. E non lo fece.

Insieme al vescovo e ai francescani, Fortini si adoperò perché la sua Assisi non diventasse teatro di operazioni belliche. L’impresa riuscì e lo si deve anche alla mediazione diplomatica della Santa Sede che fece ripetutamente presente alle forze Alleate l’unicità della cittadina umbra sotto il profilo spirituale, storico e artistico.

Molto lungimirante fu l’operato di mons. Giuseppe Placido Nicolini, il monaco benedettino originario della provincia di Trento nominato vescovo d’Assisi nel 1928, a 51 anni d’età. Il presule comprese che per salvaguardare l’incolumità del suo popolo sarebbe stato opportuno assecondare le esigenze dei tedeschi. La Wermacht aveva bisogno di organizzare ospedali militari nelle retrovie a ridosso del fronte E requisì alcuni stabili. Per veder riconosciuto ad Assisi lo status di «città ospedaliera», sottraendola così ai bombardamenti e alle operazioni belliche, Nicolini mise a disposizione del comando tedesco tutti gli edifici che poté e la manovra ottenne l’effetto sperato. Intanto la curia diocesana aveva mobilitato conventi, parrocchie, religiosi e clero per l’assistenza agli sfollati. Lo stesso episcopio né accolse in quantità.

Il vescovo poteva contare su pochi, capaci collaboratori. Padre Michele Todde, dei conventuali della basilica di san Francesco, era spesso il primo a raccogliere le richieste di soccorso. Per chi giungeva in città sospinto dalla disperazione, la tomba del Santo era il naturale primo approdo. Padre Michele ascoltava i bisogni e smistava gli ultimi arrivati. Era tra i pochi a sapere che parecchi tra i profughi appartenevano al popolo di Israele (a guerra finita la notizia sorprese persino gli altri frati del suo convento).

Anche don Aldo Brunacci sapeva. Incaricato dal vescovo di coordinare l’assistenza agli sfollati, ne organizzava l’accoglienza. Una famiglia di ebrei l’aveva alloggiata dalle suore cappuccine tedesche, la cui cappella nei giorni di festa veniva frequentata dai connazionali in divisa… Il giovane prete diocesano pensava anche ai più piccoli: per chi non aveva avuto modo di iscriversi a scuola organizzava corsi privati così che i piccoli allievi rimanessero occupati durante il giorno e non perdessero l’anno. Per il compito che svolgeva, il sacerdote entrò nel mirino dell’Ovra. La polizia segreta del regime controllava ogni suo movimento, sospettando del vescovo e dei suoi collaboratori senza riuscire però a trovare prove schiaccianti. Il 15 maggio 1944, un mese prima dell’ingresso degli Alleati in città don Aldo fu arrestato e trasferito a Perugia. L’arcivescovo di quella città intervenne presso il prefetto e ne ottenne la liberazione dieci giorni dopo, con l’impegno che il prete non sarebbe tornato ad Assisi, ma fosse spedito in Vaticano.

Di padre Rufino abbiamo già raccontato. Val la pena di ricordare qui le sue ripetute visite agli ebrei nascosti nelle case e nei conventi, il suo assillo per i viveri, il sostegno morale alle monache che si erano assunte il rischio di azioni illegali e straordinarie in nome della suprema legge dell’amore. Qui vanno ricordate in particolare le clarisse di San Quirico, vicine di casa del vescovo; le collettine francesi, le cappuccine tedesche, le stimmatine.

E come dimenticare i laici? La signora Marcella Paladin, impiegata all’Anagrafe, trafugava la modulistica delle carte annonarie perché potesse poi essere compilata con le false generalità fornite agli ebrei dalla rete clandestina del vescovo. I due tipografi di piazza Santa Chiara – Luigi e Trento Brizi, padre e figlio – conoscevano il proprio mestiere e falsificarono tanto bene le carte d’identità da renderle difficilmente distinguibili dagli originali. Grazie al loro lavoro notturno, centinaia di ebrei, ad Assisi e in altre parti d’Italia, poterono mimetizzarsi e videro diminuire il rischio d’essere arrestati.

Infine c’era «il nemico». Il colonnello medico Valentin Müller indossava la divisa della Wermacht ed era responsabile degli ospedali militari dislocati ad Assisi. In quanto tale i superiori lo avevano anche nominato comandante della piazza. Da buon cattolico il colonnello era devoto di san Francesco e si recava ogni giorno a Messa in basilica. Ben presto Assisi lo aveva conquistato e lui amava attraversarla a piedi, intrattenersi coi cittadini, allacciare rispettosi rapporti con il vescovo e le autorità. Nessuno sa veramente se l’ufficiale tedesco avesse intuito o meno che sotto i suoi occhi si dava asilo a coloro che il suo Führer intendeva sterminare. Se comprese, il suo silenzio fu complice. Di certo Müller fece del suo meglio per risparmiare alla patria di san Francesco le ferite della guerra. A metà giugno 1944 fu l’ultimo ufficiale tedesco ad abbandonare le mura cittadine, dopo aver vigilato che nessun contingente tedesco in ritirata lungo la Valle Reatina osasse abbandonarsi a violenze e saccheggi. Assisi non l’ha mai dimenticato e ancora oggi gli è riconoscente.

… Tante volte basta un pugno di giusti a fare la differenza.

 


Lo Yad Vashem di Gerusalemme, istituzione che tiene viva la memoria della Shoah, ha riconosciuto il titolo di “Giusto fra le nazioni”, per aver rischiato la propria vita a salvaguardia di quelle degli ebrei, a padre Niccacci nel 1974, al vescovo Nicolini e a don Brunacci nel 1977, a Luigi e Trento Brizi nel 1997. A loro dedica anche una pagina in inglese del proprio sito web.

Sulle vicende assisane nel biennio citato si può utilmente leggere il saggio storiografico di uno dei più accurati studiosi cittadini: Francesco Santucci, Assisi 1943-1944. Documenti per una storia, Accademia Properziana del Subasio, 1994. Più recente è la rielaborazione di quei fatti proposta nel racconto di Paolo Mirti, La società delle mandorle. Come Assisi salvò i suoi ebrei, Giuntina, 2007.

Gli eventi di quei mesi sono stati anche ricostruiti in vari documentari realizzati da Arturo Sbicca per la Oriente Occidente Productions e disponibili in formato dvd. Citiamo qui: Assisi del silenzio (2004) e Assisi 1943-1944. Testimoni per una memoria del bene (2011).

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