Maria di Nazaret, dove Dio incontra l’uomo
«Stillate, cieli, dall’alto
e le nubi facciano piovere la giustizia;
si apra la terra e produca la salvezza
e germogli insieme la giustizia.
Io, il Signore, ho creato tutto questo»
(Is 45,8)
Il libro del profeta Isaia è uno dei più usati dalla liturgia nel tempo di Avvento. In esso ritroviamo numerosi passi che potremo definire «messianici» e che da sempre la cristianità ha interpretato alla luce dell’evento di Gesù di Nazaret. Uno di essi è proprio il versetto che abbiamo posto come introduzione a queste righe. Ma potremmo spingerci oltre e ripercorrere l’intero itinerario dell’Antico Testamento e mettere in luce le innumerevoli parole, testimonianze, episodi, che proiettano l’uomo nella dimensione dell’attesa di una Salvezza. La storia del Popolo di Dio, come pure la storia dell’intera umanità non sono soltanto il racconto della Rivelazione di Dio in parole e fatti, ma pure la costante manifestazione della nostalgia di Dio che l’uomo ha sempre portato in sé. Dal misterioso racconto del peccato dei primi uomini potremmo dire che ha abitato nel cuore dell’uomo una profonda nostalgia di Dio, il desiderio incolmabile della presenza di Dio nella sua vita, l’intimo bisogno di salvezza al quale non ha mai potuto provvedere con le sue mani.
Maria di Nazaret ha coabitato, come tutti gli altri uomini, con questo desiderio, con tale nostalgia. Ma la sua esperienza è unica perché ha potuto vedere con i suoi propri occhi e per prima la risposta a questo anelito dell’umanità che in lei si concentrava. È come se avesse portato nel suo cuore il bisogno di salvezza di tutto l’uomo e di tutti gli uomini e in seguito, nel suo grembo, la risposta di Dio a tutto questo. È la prima testimone dell’immensa differenza tra il «prima» e il «dopo», tra l’antico e il nuovo. Prima di lei c’era l’attesa e la non comprensione piena di quanto Dio andava tessendo nel cammino dell’umanità, dopo di lei c’è stata la tentazione dell’abitudine a un annuncio tanto grande quanto sconvolgente. In lei si colloca precisamente il compimento e mai potrà abbandonare una delle due parti che nel suo «presente» si compiono: la nostalgia di Dio e la sua risposta.
Solo se teniamo insieme queste due dimensioni riusciamo a cogliere con più profondità il mistero del Natale. Mai potremo gustare e mai finiremo di stupirci dell’immensa differenza tra il «prima» e il «dopo», tra l’attesa e il compimento, tra il bisogno e la nostalgia e la risposta di Dio. San Paolo esprime il suo stupore in molte occasioni, anche attraverso queste parole: «Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco ne sono nate di nuove» (2 Cor 5,17).
In tutto ciò siamo provvidenzialmente aiutati dalla nostra stessa natura, dal fatto che nel nostro intimo abita tale anelito e mai durante la nostra vita terrena riusciremo a riempirlo totalmente. Ci accompagnerà sempre. E sempre ci sarà compagno anche l’annuncio del Vangelo, della buona notizia, che, in maniera ancora imperfetta, si fa carne nella nostra vita: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11).
L’attesa e il compimento dunque si concentrano e si realizzano nel bambino di Betlemme, non da contemplare con occhi pieni di sola poesia, ma nel significato più pieno e concreto del mistero dell’incarnazione. Tale significato è ciò che ci può salvare dalla celebrazione di un Natale ovattato dallo stordimento della cultura occidentale che ha svuotato il senso di questa festa riempiendolo di altri significati. Il bambino di Betlemme colma l’infinita distanza e l’infinito scarto tra creatura e creatore; nel linguaggio più povero e più vero possibile viene a ricordarci che tale abisso è irrimediabilmente superato dall’amore del Padre e dalla sua immensa tenerezza.
Il Natale in Terra Santa, paradossalmente, è svestito da tutto quel clima, per certi aspetti bello ed affascinante, che domina nei Paesi occidentali. Per la stragrande maggioranza degli abitanti della terra di Gesù (i cristiani sono a malapena il 2 per cento), non è neppure lontanamente un giorno di festa: un giorno come un altro, eventualmente da guardare con semplice curiosità attraverso la lente delle tradizioni delle diverse comunità cristiane. Non nascondo che mi manca un certo ambiente quasi «magico» che ti fa sentire comunque di essere in un momento importante della vita della tua città, del tuo quartiere e della tua comunità cristiana. Ma il vivere come minoranza in un contesto culturale assai differente dal nostro, costringe a cercar di recuperare un significato più profondo e autentico di questa festa: la nostalgia di Dio alla quale Egli risponde nel mistero inaudito di un Dio che si fa uomo.
Bisogno di Salvezza, nostalgia del Padre, mistero dell’incarnazione, sono i contenuti che siamo chiamati a riscoprire in questo tempo sempre nuovo e sempre unico, guidati e accompagnati dalla viva esperienza di una donna di Nazaret che rimane nei secoli testimonianza viva dell’incontro tra Dio e l’uomo, tra il creatore e la creatura.