«Anche se ci sono stati molti attacchi, e molti di più ce ne saranno, quel che stiamo facendo è di indicare ai nostri la partecipazione alle elezioni, perché questo è un tempo fondamentale per l’Egitto». Non ha dubbi il vescovo copto ortodosso Thomas, della diocesi di Qusiyah, mentre ci parla del presente e del futuro dei cristiani nel suo Paese.
(Il Cairo) – «Anche se ci sono stati molti attacchi, e molti di più ce ne saranno, quel che stiamo facendo è di indicare ai nostri la partecipazione alle elezioni, perché questo è un tempo fondamentale per l’Egitto». Non ha dubbi il vescovo copto ortodosso Thomas, pastore della diocesi di Qusiyah, nella provincia di Assiut, nell’Egitto meridionale. Non è più il tempo di rimanere nel ghetto, per i copti egiziani. È invece l’ora dell’impegno e della partecipazione. Thomas è un vescovo noto nel suo Paese. Nel 1998 ha fondato Anaphora, un centro di spiritualità visitato da decine di migliaia di persone, nel deserto tra Alessandra e Il Cairo. E il suo punto di vista, che presentiamo in quest’intervista, è tenuto in considerazione dall’opinione pubblica, non solo cristiana.
Negli ultimi decenni i copti si sono ritirati dalla partecipazione sociale e politica diretta, creando de facto un ghetto copto. Come mai è successo?
Si tratta di un processo antico, che risale a prima della rivoluzione del 1952. I copti, allora, erano coinvolti profondamente nel governo politico e nella società. Dopo il 1952 c’è stata una sorta di limitazione nel loro coinvolgimento nella sfera politica. Cosa che è continuata durante il periodo di Nasser. Negli anni Settanta, con la crescita del fondamentalismo islamico, i cristiani hanno provato un senso di maggiore insicurezza; e di conseguenza si sono preoccupati di accrescere la propria sicurezza, cercando di inserirsi nei settori dove poter avere un ruolo di primo piano. Ad esempio, erano coinvolti negli affari o nell’amministrazione. Molti cristiani in quegli anni diventarono ricchi. Nonostante questo non venivano coinvolti nella gestione politica. E a poco a poco, sempre nel tentativo di cercare una maggiore sicurezza, incominciarono a perdere il possesso della terra e a spostarsi dai villaggi alle grandi città, creando involontariamente, così, un ghetto.
Come mai, in occasione della rivoluzione di piazza Tahrir, la Chiesa copta ha chiesto ai giovani di rimanere a casa e pregare, al posto di unirsi alla protesta?
In realtà, molti giovani copti sono stati coinvolti nella rivoluzione, fin dal suo nascere, perfino nelle fasi organizzative. E anche se alcuni dei nostri pastori hanno chiesto ai fedeli di stare a casa, gran parte del popolo vi ha preso parte. Probabilmente gli appelli alla prudenza erano animati dal desiderio di garantire la sicurezza ai fedeli… Personalmente, io ho appoggiato con decisione il movimento dei giovani, perché la giustizia è un sentimento fondamentale per gli esseri umani. La giustizia è un imperativo umano fondamentale, un principio importante a cui è necessario dare risposta. È quel che volevamo. Per ogni persona che vive in Egitto e non solo in Egitto, ma in tutto il mondo.
Quindi condivide l’idea che adesso, prima che sia troppo tardi, i copti debbano partecipare alla gestione della politica?
Sì. E in effetti questo è quel che sta accadendo. Nonostante i problemi, quel che si può vedere è che i copti saranno ben rappresentati alle prossime elezioni. La nostra gente è determinata ad esserci. Anche se ci sono molti attacchi, e molti di più ce ne saranno, quel che stiamo facendo è di indicare ai nostri la partecipazione alle elezioni, perché questo è un tempo fondamentale per l’Egitto. L’intera nazione sta cambiando e bisogna partecipare al cambiamento, dobbiamo essere una parte di questa società. Oggi, l’atteggiamento della chiesa copta è quello di partecipare alle elezioni e all’arena politica.
Pensa che l’Occidente dovrebbe far valere il suo peso negli affari egiziani, per proteggere i cristiani?
Come cristiani non vogliamo provocare conflitti e odio e crediamo nella possibilità di un processo pacifico. Oggi viviamo in un villaggio globale, si sa cosa avviene ovunque, in ogni momento; nessun Paese è indipendente dagli altri. E questo non riguarda solo l’Egitto. La dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite deve essere applicata . Ed è naturale che la comunità internazionale sia interpellata per ogni situazione, non solo in Egitto. Oggi non è possibile nascondere nulla: anche se qualcuno ripetesse duecento volte che una cosa non è mai avvenuta, le immagini lo smentirebbero. Il nostro dovere, come cristiani, è di lavorare per la giustizia e per la pace, infatti non siamo armati e rifiutiamo la violenza. Continueremo a usare tutti gli strumenti legali, e continueremo a lavorare con le persone di buona volontà, compresi i musulmani e la comunità internazionale, per poter ottenere giustizia. In Egitto molti musulmani di buona volontà sono impegnati fermamente per la giustizia. E sono impegnati a difendere i diritti dei cristiani. Noi cristiani, da parte nostra, non viviamo su di un isola. Abbiamo ottime amicizie con i musulmani, come è normale nelle relazioni umane. Dopo tutto, siamo discepoli di Gesù Cristo, difendiamo i diritti dei deboli e dei marginalizzati. Tutti sono illuminati dalla sua luce. Vogliamo tenere alto l’esempio di Cristo. La nostra battaglia non è con la carne e il sangue. Ma contro le idee e le filosofie. Non è contro la gente. Abbiamo bisogno di amare tutti, anche i nostri nemici. Ma l’amore non toglie di mezzo la giustizia e i diritti. Per questo incoraggio la mia gente a perdonare. E, al tempo stesso, una volta che abbiamo perdonato, a chiedere giustizia.
Vede con ottimismo l’Egitto di domani?
Bisogna guardare le cose con speranza. La speranza è una forza trainante molto importante per il popolo. Non possiamo perdere la speranza. Quando perdi la speranza, ti ritiri. Desidero che le persone continuino a sperare e a combattere per i loro diritti. Continuino a partecipare alla società, a lavorare per il bene del Paese assieme agli amici musulmani, con le associazioni dei diritti umani, per difendere i diritti di ognuno, a prescindere dalla propria religione. Vorremmo che in Egitto si affermasse il principio di umanità più che quello di religiosità. Che si realizzasse il passaggio dalla religiosità alla spiritualità. E che si lavorasse insieme per l’umanità. E’ questo quel che vogliamo per questo Paese.