Nel bel mezzo di una crisi senza precedenti tra Israele e Turchia per la faccenda legata all’assalto di un anno fa alla Mavi Marmara, nave della Freedom Flotilla (con conseguente richiamo di ambasciatori e annullamento di accordi commerciali), il governo di Recep Tayyip Erdogan ha annunciato la restituzione delle proprietà confiscate dopo il 1936 alle minoranze non islamiche. Il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha espresso grande soddisfazione per la decisione: «Si tratta di un giorno molto particolare, un momento di grande gioia».
Il gesto di Erdogan non va affatto sottovalutato e fa seguito ad un altro importante provvedimento: la riforma della legge sul Santo Sinodo, che strangolava l’elezione del patriarca stabilendo una serie di condizioni ormai impossibili da rispettare per la minuscola Chiesa ortodossa in Turchia (per esempio la cittadinanza turca del designato).
Se la decisione costituisca o meno l’inizio di una apertura capace di portare ben più ampi frutti sul piano di una vera la libertà religiosa, lo si vedrà nei prossimi mesi. Intanto la restituzione dei beni è annunciata solo per le minoranze la cui esistenza è riconosciuta dal Trattato di Losanna (1923): comunità armena, greca ed ebraica. Il trattato, nella sezione III, agli articoli 37-45, parlava in verità di regole sulla «protezione di minoranze non musulmane», testo poi successivamente applicato in maniera restrittiva solo ai tre gruppi sopra citati, tradendo di fatto lo spirito della lettera.
La Chiesa cattolica nel Paese, viceversa, non gode ad oggi di alcuna personalità giuridica e di fatto non esiste. Il timore, allora, è di una mossa propagandistica, ancora legata – forse – alla mentalità musulmana che considera in secondo piano le altre religioni e offre protezione alle «religioni del libro», piuttosto che riconoscerle uguali. A quando infatti una seria riforma costituzionale che dia personalità giuridica e pari diritti legali a tutte le minoranze?