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Il Sinodo per il Medio Oriente riecheggia nella Primavera araba

Manuela Borraccino
19 ottobre 2011
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Il Sinodo per il Medio Oriente riecheggia nella Primavera araba
Una panoramica dell'Aula del Sinodo in Vaticano, durante i lavori dell'Assemblea speciale per il Medio Oriente, nell'ottobre 2010.

Libertà di religione e di coscienza. Dialogo con l’islam incentrato sui diritti umani. Appello per la pace in Medio Oriente. Rifiuto del confessionalismo. Sono questi i temi forti con i quali si concluse, un anno fa, il Sinodo speciale per il Medio Oriente riunito in Vaticano dal 10 al 24 ottobre. Cosa ne resta all'indomani della Primavera araba?


(Milano) – Libertà di religione e di coscienza. Dialogo con l’islam incentrato sui diritti umani. Appello per la pace in Medio Oriente. Rifiuto del confessionalismo. Sono questi i temi forti del Messaggio al popolo di Dio e delle 44 Proposizioni con le quali si concluse, un anno fa, il Sinodo speciale per il Medio Oriente che aveva riunito a Roma, dal 10 al 24 ottobre, 173 vescovi e patriarchi della regione, oltre ad esperti, uditori e presuli degli altri continenti.

In attesa dell’Esortazione apostolica post-sinodale, che il Papa potrebbe pubblicare entro il 2012 e che traccerà alcune linee guida pastorali, ci chiediamo che cosa sia rimasto di quell’importante evento ecclesiale, soprattutto alla luce della Primavera araba iniziata agli albori del 2011 e in parte ancora in corso.

Di fronte alla gravissima strage di 26 cristiani copti uccisi al Cairo lo scorso 9 ottobre, agli omicidi mirati che proseguono in Iraq, alle tensioni che attraversano le società in Libano, in Siria, nei Territori Palestinesi, sembrano essersi affievolite le speranze di cambiamento emerse con forza nelle richieste dei presuli riuniti a Roma.

«Nel riflettere sulla situazione dei cristiani, sull’urgenza di una migliore comunione e sulla nostra missione di testimonianza non potevamo immaginare quanto i nostri interventi sarebbero risultati profetici rispetto alle rivoluzioni che sarebbero scoppiate di lì a poco», diceva nei mesi scorsi il patriarca di Alessandria dei copti cattolici, il cardinale Antonios Naguib.

Relatore generale del Sinodo, il 76enne patriarca – a capo di circa 200 mila cattolici di rito copto su 8 milioni di cristiani egiziani – pensava soprattutto alla richiesta dei vescovi di uno «Stato laico» che, lungi dall’essere «ateo o libertino», sia basato piuttosto «sul rispetto dell’uomo e della libertà, sui diritti della persona, sull’uguaglianza e sulla cittadinanza completa, sul riconoscimento del ruolo della religione stessa nella vita pubblica, e sui valori morali». «Ripensando a questo sistema che riconosce e garantisce la libertà religiosa e distingue fra ordine civile e ordine religioso – diceva Naguib – rivedo davanti ai miei occhi le decine di migliaia di giovani riuniti nella piazza Tahrir e in centinaia di altre piazze in Egitto dal 25 gennaio 2010 fino all’abdicazione dell’ex-presidente Mubarak l’11 febbraio, e sento ancora nelle mie orecchie le grida dei loro slogan: “Né poliziesco, né religioso. Civile. Civile”». Tale resta, in Egitto come in Tunisia e negli altri Paesi dove si sta lottando per la democrazia, la libertà di stampa, la parità dei cittadini, il programma dei giovani e di quanti si sono associati a loro.

L’islamologo gesuita padre Samir Khalil Samir ricorda come il Sinodo abbia fatto emergere diversi temi che sono poi risultati in «profonda sintonia» con le richieste dei giovani. Prima di tutto «il valore della cittadinanza piena per i cristiani, un rifiuto del regime di tolleranza, che finiva per squalificare i cristiani come cittadini di seconda classe. La rivendicazione nuova di questo termine (muwatanah) implica non solo la richiesta di libertà religiosa, ma il diritto di partecipare al bene comune e all’impegno sociale alla pari con tutte le altre identità. Proprio questa rivendicazione nuova ha suscitato molto interesse e stupore anche fra i musulmani».

Per il patriarca dei siro-cattolici Ignace Youssif III Younan la maggiore eredità del Sinodo è «la volontà, da parte sia della Santa Sede che dei patriarchi e vescovi del Medio Oriente, di continuare in tutte le sedi istituzionali a battere il tasto della libertà religiosa come via per la pace nel mondo, come del resto il Papa sta facendo da tempo. Il principio che ci guida è che la libertà religiosa è un diritto umano fondamentale, che deriva dalla dignità umana con la quale tutti veniamo al mondo: non si tratta dunque di una concessione degli Stati, ma di un diritto umano inalienabile». Né più né meno di quanto sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, rimasta lettera morta in molti Paesi del mondo. Non solo quelli a maggioranza musulmana.

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