Questa mattina in Vaticano, in uno speciale momento di preghiera che si è svolto invece dell’udienza generale del mercoledì, il Papa ha voluto soffermarsi sul significato dell’appuntamento da lui convocato ad Assisi nella giornata di domani. Benedetto XVI ha pronunciato una meditazione sul senso della pace per il discepolo di Cristo e sul suo modo di costruirla stando nel mondo.
(Milano/g.s.) – Questa mattina in Vaticano, in uno speciale momento di preghiera che ha preso il posto della consueta udienza generale del mercoledì, il Papa ha voluto soffermarsi sul significato dell’appuntamento da lui convocato ad Assisi nella giornata di domani. Benedetto XVI ha pronunciato una meditazione sul senso della pace per il discepolo di Cristo e sul suo modo di costruirla stando nel mondo.
«Oggi – ha esordito il Papa – il consueto appuntamento dell’udienza generale assume un carattere particolare, poiché siamo alla vigilia della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, che si terrà domani ad Assisi, a venticinque anni dal primo storico incontro convocato dal beato Giovanni Paolo II. Ho voluto dare a questa giornata il titolo “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”, per significare l’impegno che vogliamo solennemente rinnovare, insieme con i membri di diverse religioni, e anche con uomini non credenti ma sinceramente in ricerca della verità, nella promozione del vero bene dell’umanità e nella costruzione della pace. Come ho già avuto modo di ricordare, “Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio”».
Poi Ratzinger ha commentato un brano biblico dell’Antico Testamento: «Nel brano del profeta Zaccaria (cap. 9, versetti 9 e10 – ndr) che abbiamo appena ascoltato (…) quello che viene annunciato non è un re che si presenta con la potenza umana, la forza delle armi; non è un re che domina con il potere politico e militare; è un re mansueto, che regna con l’umiltà e la mitezza di fronte a Dio e agli uomini, un re diverso rispetto ai grandi sovrani del mondo. Egli è un re povero, il re di coloro che sono i poveri di Dio. Nel testo greco appare il termine praeîs, che significa i mansueti, i miti; Gesù è il re degli anawim, di coloro che hanno il cuore libero dalla brama di potere e di ricchezza materiale, dalla volontà e dalla ricerca di dominio sull’altro.Gesù è il re di quanti hanno quella libertà interiore che rende capaci di superare l’avidità, l’egoismo che c’è nel mondo, e sanno che Dio solo è la loro ricchezza. Gesù è re povero tra i poveri, mite tra quelli che vogliono essere miti. In questo modo Egli è re di pace, grazie alla potenza di Dio, che è la potenza del bene, la potenza dell’amore».
«L’orizzonte di questo re povero, mite – ha osservato il Papa – non è quello di un territorio, di uno Stato, ma sono i confini del mondo; al di là di ogni barriera di razza, di lingua, di cultura, Egli crea comunione, crea unità. E dove vediamo realizzarsi nell’oggi questo annuncio? Nella grande rete delle comunità eucaristiche che si estende su tutta la terra riemerge luminosa la profezia di Zaccaria. (…) Egli viene, si rende presente; e nell’entrare in comunione con Lui anche gli uomini sono uniti tra di loro in un unico corpo, superando divisione, rivalità, rancori. Il Signore viene nell’Eucaristia per toglierci dal nostro individualismo, dai nostri particolarismi che escludono gli altri, per formare di noi un solo corpo, un solo regno di pace in un mondo diviso».
Da qui una riflessione sullo stile dei discepoli, ieri come oggi: «Ma come possiamo costruire questo regno di pace di cui Cristo è il re? Il comando che Egli lascia ai suoi Apostoli e, attraverso di loro, a tutti noi è: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli… Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19). Come Gesù, i messaggeri di pace del suo regno devono mettersi in cammino, devono rispondere al suo invito. Devono andare, ma non con la potenza della guerra o con la forza del potere. Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù invia settantadue discepoli alla grande messe che è il mondo, invitandoli a pregare il Signore della messe perché non manchino mai operai nella sua messe (cfr Lc 10,1-3); ma non li invia con mezzi potenti, bensì “come agnelli in mezzo ai lupi” (v. 3), senza borsa, bisaccia, né sandali (cfr v. 4). San Giovanni Crisostomo, in una delle sue Omelie, commenta: “Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore” (Omelia 33, 1: PG 57, 389). I cristiani non devono mai cedere alla tentazione di diventare lupi tra i lupi; non è con il potere, con la forza, con la violenza che il regno di pace di Cristo si estende, ma con il dono di sé, con l’amore portato all’estremo, anche verso i nemici. Gesù non vince il mondo con la forza delle armi, ma con la forza della Croce, che è la vera garanzia della vittoria. E questo ha come conseguenza per chi vuole essere discepolo del Signore, suo inviato, l’essere pronto anche alla passione e al martirio, a perdere la propria vita per Lui, perché nel mondo trionfino il bene, l’amore, la pace. È questa la condizione per poter dire, entrando in ogni realtà: “Pace a questa casa” (Lc 10,5)».
Prima di concludere, il Papa ha additato l’esempio dell’apostolo san Paolo, che in piazza San Pietro è rappresentato da una statua che lo raffigura con una spada fra le mani. Quella spada, spiega Benedetto XVI, «è lo strumento con cui Paolo venne messo a morte, con cui subì il martirio e sparse il suo proprio sangue. La sua battaglia non fu quella della violenza, della guerra, ma quella del martirio per Cristo. La sua unica arma fu proprio l’annuncio di “Gesù Cristo e Cristo crocifisso” (1Cor 2,2). La sua predicazione non si basò “su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza” (v. 4). Dedicò la sua vita a portare il messaggio di riconciliazione e di pace del Vangelo, spendendo ogni sua energia per farlo risuonare fino ai confini della terra. E questa è stata la sua forza: non ha cercato una vita tranquilla, comoda, lontana dalle difficoltà, dalle contrarietà, ma si è consumato per il Vangelo, ha dato tutto se stesso senza riserve, e così è diventato il grande messaggero della pace e della riconciliazione di Cristo. La spada che san Paolo tiene nelle mani richiama anche la potenza della verità, che spesso può ferire, può far male; l’Apostolo è rimasto fedele fino in fondo a questa verità, l’ha servita, ha sofferto per essa, ha consegnato la sua vita per essa. Questa stessa logica vale anche per noi, se vogliamo essere portatori del regno di pace annunciato dal profeta Zaccaria e realizzato da Cristo: dobbiamo essere disposti a pagare di persona, a soffrire in prima persona l’incomprensione, il rifiuto, la persecuzione. Non è la spada del conquistatore che costruisce la pace, ma la spada del sofferente, di chi sa donare la propria vita».
Domattina il Papa lascerà il Vaticano alla volta di Assisi a bordo di un treno in partenza alle 8.00 dalla stazione ferroviaria del piccolo Stato. A bordo ci saranno, oltre che i membri del seguito papale, anche alcuni capi delle delegazioni di varie religioni – ma anche personalità non credenti – che hanno accolto l’invito del Pontefice. L’arrivo ad Assisi è previsto alle 9.45. Dalla stazione tutti si recheranno nella vicina basilica di Santa Maria degli Angeli, dove si svolgerà la prima parte della giornata. Dopo un pasto frugale (alle 13) e un periodo di silenzio e preghiera personale, a partire dalle 15.15 comincerà il trasferimento delle delegazioni ufficiali a piazza San Francesco, nel centro storico della cittadina umbra. Lì avrà luogo la cerimonia conclusiva della giornata. Intorno alle 18, prima di ripartire in treno per Roma (arrivo previsto alle 20) il Papa sosterà brevemente in preghiera davanti alla tomba del Poverello. Venerdì mattina Ratzinger riceverà in Vaticano i delegati che hanno preso parte alla giornata assisana e, al termine dell’udienza, pranzerà con loro.