Ogni mattina in Israele ci sono circa cinquecento donne israeliane che partono alla volta dei numerosi check-point che separano il loro Paese dai Territori palestinesi, armate solo di coraggio. Vanno ai check-point per osservare quel che succede tra i soldati israeliani e i palestinesi che chiedono di passare, intervengono in caso di violazione dei diritti umani e denunciano l’accaduto.
Sono le donne di Machsom Watch, associazione di donne israeliane nata nel 2001 per monitorare quel che succede sulle barricate (machsom in ebraico vuol dire check-point o blocco militare). Si tratta spesso di signore non più giovanissime, che hanno deciso di reagire a quel che succede lungo le linee di confine e a ridosso del Muro di separazione. Quando vedono ritardi ingiustificati al passaggio delle ambulanze o delle persone che attendono da ore, quando sono testimoni di comportamenti aggressivi dei soldati di turno… si interpongono con efficacia, cercano di parlare con i soldati anche perché condividono la loro lingua e il Paese di appartenenza.
Così spiega il suo servizio Daniela Yoel: «Quando sono al checkp-point io vedo con i miei occhi. E i palestinesi mi sono riconoscenti. Poi scrivo e pubblico con Machsom Watch i rapporti sulle ingiustizie di cui sono testimone, così la gente non potrà più dire: “Non sapevo”».
Le donne di Machsom Watch sono presenti anche nei tribunali per verificare se viene rispettato il diritto nei confronti dei prigionieri palestinesi. E tutto quello che raccolgono viene pubblicato sul sito www.machsomwatch.org e inviato a funzionari pubblici e rappresentanti politici.
«Attraverso questa documentazione – spiega una delle fondatrici di Machsom Watch Yehudit Keshet – cerchiamo di influenzare l’opinione pubblica nel Paese e nel mondo, e quindi di porre fine all’occupazione che distrugge e disumanizza tanto la società israeliana quanto quella palestinese».