Quello scandalo inaudito di una vita normale
Uno degli ostacoli con il quale si è scontrato Gesù è stato senza dubbio il giudizio. Il giudizio della gente verso di lui, il giudizio di quanti si credono giusti e pensano di poter condannare gli altri e, non ultimo, il pregiudizio verso categorie di persone che appartenevano a classi sociali particolari o che erano inquadrate entro termini di riferimento squalificanti.
Gesù – e forse questo aspetto non è abbastanza sottolineato – apparteneva proprio ad una di queste categorie di persone: gli abitanti di Nazaret. Natanaele (che la tradizione identifica in Bartolomeo), esprime candidamente tale pregiudizio: «da Nazaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). È la reazione alla notizia portatagli da un suo amico, Filippo, che afferma di aver trovato «colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazaret» (Gv 1,45).
Il giudizio prosegue e si rafforza nell’opinione dei giudei che, dopo avere ascoltato la sua predicazione durante la festa delle capanne al tempio, si domanda: «Come mai costui conosce le Scritture senza aver studiato?» (Gv 7,15). La gente dell’estrazione culturale e sociale di Gesù è gente non considerata culturalmente e religiosamente affidabile; un popolo ignorante, che non conosce la legge. Queste stesse parole sono espresse sotto forma di maledizione da parte dei dottori della legge e dei capi del popolo, nei confronti di chi si poneva delle domande serie su Gesù e sulla sua missione: «Questa gente, che non conosce la legge, è maledetta!» (Gv 7,49). Ad appesantire ancora di più la sentenza di condanna c’è l’affermazione biblicamente documentata che dalla Galilea non sorge profeta e pertanto questo Gesù di Nazaret non è né da seguire, né da ascoltare. Nicodemo tenta una sorta di difesa di Gesù e della stessa legge, che non giudica nessuno prima di averlo ascoltato, ma la risposta che riceve ha il sapore di una sentenza: «Sei anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta» (Gv 7,52).
Questi brevi tratti, in definitiva, ci pongono in ascolto dell’opinione diffusa sulla provenienza di Gesù, sulle sue radici, su Nazaret insomma. Il fatto stesso di provenire da tale città richiamava alla sensibilità dei più, l’appartenenza di Gesù proprio a quella parte di popolo che è la gente normale, ordinaria, che non ha fatto particolari studi teologici, per di più proveniente da una cittadina disprezzata e senza storia, dalla quale non può sortire nulla di buono. Non ha alcun diritto di parlare in nome di Dio questo Gesù di Nazaret, proprio per questo pregiudizio: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?» (cfr Mt 13,54-56). Con altri termini anche l’evangelista Luca riporta lo stesso parere dopo il famoso discorso nella sinagoga di Nazaret, tanto che «si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù» (Lc 4,29).
Ciò che scandalizza sopra ogni cosa è senza dubbio che quest’uomo riconosciuto così speciale, che parla come nessuno ha mai parlato, che compie segni evidenti, abbia avuto una storia normale, come quella di tutti, che tutti conoscevano. Un uomo che aveva vissuto in modo ordinario per larga parte della sua vita. Non si addice questo ad un Messia, ad uno che possa cambiare le sorti del popolo e offrire salvezza a quanti lo seguono. Il messia non si sa da dove verrà… Se questo ha vissuto come tutti, con una famiglia normale, che si conosce, con una storia fatta di alti e bassi, come quella di tutti, non può essere il salvatore! In fondo, proprio per queste sue radici, andrà incontro alla condanna definitiva alla morte di croce.
È la tentazione del disprezzo della vita normale, ordinaria. Una tentazione che attraversa i secoli e si spinge tra i credenti fino ad oggi. È la tentazione del giudizio nei confronti di chi in apparenza non sembra fare grandi segni o miracoli; di chi non ha grandi incarichi nella vita ecclesiale o sociale, ma compie il suo servizio di marito, di moglie, di genitore, o di laico lavoratore immerso nella vita quotidiana del mondo; di chi, religioso, religiosa o prete, non mira ad una carriera folgorante, ma semplicemente desidera condividere la sua vita in mezzo agli altri, come tutti gli altri. È la tentazione di quanti passano di qui a Nazaret, nella casa di fratel Charles, e ci domandano: «Ma voi, cosa fate?». E quando rispondiamo che innanzitutto il nostro impegno è vivere ed essere ciò che siamo chiamati ad essere, si legge il disorientamento e un velo di delusione negli occhi di qualcuno.
Per capire e accogliere il Vangelo è necessario reagire a questa tentazione, riscoprendo il gusto di vivere il nostro quotidiano, l’unico vero luogo nel quale si può essere credenti oppure no, nel quale fare esperienza di salvezza e di risurrezione. L’unico luogo nel quale possiamo essere raggiunti dalla buona notizia del Vangelo. Non ne esistono altri.