Da Garibaldi a Herzl. Il Risorgimento nazionale fra Italia e Israele, questo il titolo della mostra curata da Andreina Contessa per il Museo d’arte ebraica italiana di Gerusalemme «Umberto Nahon», sotto l’alto patronato del presidente della Repubblica italiana e in collaborazione con l’ambasciata d’Italia in Israele. La mostra è stata inaugurata il 16 maggio scorso dal presidente Giorgio Napolitano – i telegiornali e la stampa italiana ne hanno dato notizia – ed è aperta fino al 15 luglio.
Obiettivo della mostra è innanzitutto un omaggio ai 150 anni dell’unità d’Italia insieme a una testimonianza delle radici del legame invocato da più parti fra l’epopea risorgimentale della Penisola e quella del sionismo. Il Risorgimento italiano – sottolinea la curatrice – «è progredito di pari passo con l’integrazione degli ebrei nella società, i quali hanno sviluppato una coscienza di sé come italiani condividendo una lotta per la quale erano pronti a dare la vita», coscienza che solo il fascismo e le leggi razziali avrebbero poi lacerato. Fra i documenti esposti figura l’editto del 1848 che annuncia l’uguaglianza dei diritti per gli ebrei del Regno Sabaudo a firma di Carlo Alberto, un sovrano la cui morte fu accolta con espressioni di enorme cordoglio dalle comunità ebraiche di Torino, Casale Monferrato e Saluzzo. Ma a sorprendere è soprattutto la «Corona dei Cannoni», un oggetto in argento che sovrastava il rotolo della Torah – il Pentateuco – donata alla sinagoga di Alessandria proprio in ricordo di questo sovrano. Come precisa la curatrice, «si tratta di un oggetto unico nel suo genere, poiché, invece dei motivi ricorrenti dell’iconografia ebraica, è adornato con cannoni, bandiere da guerra e altri elementi militari frutto dell’entusiasmo patriottico della comunità del tempo».
Lo stesso patriottismo si è espresso anche nelle Ketubbot, i «patti di nozze», provenienti dall’Archivio storico della Comunità ebraica di Roma, che in quell’epoca sono stati abbelliti con i colori del vessillo nazionale italiano. In una Ketubbah, il cui originale si trova al Museo ebraico di Soragna, vicino a Parma, e del quale a Gerusalemme è esposta una copia, sono sfoggiate a mo’ di decorazione persino le immagini di «gentili» quali il re Vittorio Emanuele, Cavour e Giuseppe Garibaldi. Particolarmente interessante in questa mostra è l’attenzione ai rapporti fra il padre del sionismo Theodor Herzl e l’ebraismo in Italia, oltre che fra lo stesso Herzl e il pensiero mazziniano.
Fra le diverse testimonianze al riguardo, è possibile prendere atto di alcune sue lettere autografe inviate ai primi del Novecento a Felice Ravenna, dirigente di un embrionale movimento sionista in Italia. Herzl sperava nella mediazione che l’Italia e la Santa Sede avrebbero potuto esercitare per sostenere la sua azione mirata al ritorno degli ebrei nella terra dei padri. Felice Ravenna conservò le lettere di Herzl nel suo ufficio, al pianterreno della sua casa, a Ferrara, che nel 1943 fu invasa dai tedeschi e vandalizzata. Un fedele impiegato, che le trovò sparpagliate all’ingresso dell’ufficio, le raccolse e, ricordandosi che Ravenna le considerava preziose, le conservò. Dopo la guerra le diede a Gabriella Falco, figlia di Ravenna, che riuscì a portarle in Palestina nel novembre del 1945, dopo un viaggio difficile sulla nave d’immigrazione clandestina «Principessa Kathleen».