Il 14 giugno, in Vaticano, mi sono congedato dalla Commissione bilaterale permanente di lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele, dopo diciannove anni da Consigliere giuridico della delegazione della Santa Sede. Con grande commozione ho ascoltato le parole di apprezzamento pronunciate dai presidenti delle rispettive delegazioni, ho risposto grato, e poi sono uscito di scena.
Un capitolo della mia vita, lunghissimo, è arrivato a termine. Infatti, dei rapporti tra la comunità cristiana e lo Stato, in Israele, mi sono occupato sin dal 1977, quando ebbe inizio la mia attività per conto del Consiglio cristiano unito in Israele, proseguita poi per la Custodia di Terra Santa. Ora però il Santo Padre mi ha nominato Prelato uditore del Tribunale della Rota Romana, e cioè giudice dell’alta corte giudiziaria della Chiesa cattolica, per cui è iniziata per me una nuova «carriera», un altro tipo di lavoro, un servizio di natura diversa.
Ma proprio questo profondo cambiamento di indirizzo lavorativo, e di vita, mi induce a rammentare l’impresa di cui per tanti anni mi sono occupato. Non si è trattato semplicemente di risolvere problemi contingenti, ma di costruire in Terra Santa un nuovo modello di rapporti Chiesa-Stato.
Dopo molti secoli di emarginazione, in cui è stata tollerata, o tutt’al più «protetta», la Chiesa, con l’Accordo fondamentale firmato con Israele il 30 dicembre 1993 (entrato poi in vigore il 10 marzo 1994, e seguito il 15 febbraio 2000 dall’analogo Accordo di base con la parte palestinese), ha finalmente potuto godere il pieno riconoscimento quale società del tutto libera di perseguire i propri fini, in armonia con le giuste esigenze dello Stato, con il quale collabora opportunamente per il bene delle persone. In più, la Chiesa ha goduto del particolare riconoscimento della singolare indole della sua presenza in Terra Santa, patria spirituale dei cristiani di tutto il mondo. Trasformare tale nobile «visione» in un solido edificio pattizio, fatto di norme adeguatamente dettagliate, che ne assicurassero stabilità ed efficacia, questo è stato il nostro compito di negoziatori – arduo, ma possibile, anzi necessario.
Certamente non siamo partiti dal nulla. Invece abbiamo rivendicato il patrimonio plurisecolare dei diritti acquisiti in passato per dotare la Chiesa in Terra Santa di sicurezza giuridica e fiscale.
È un patrimonio, che ci siamo proposti di consolidare e migliorare ancora, di aggiornare e rendere più funzionale alle richieste di questi tempi.
Inevitabilmente, il cammino è stato tutto «in salita», ma poco a poco siamo sempre e comunque riusciti a «salire» davvero verso la meta. È stato un viaggio di reciproca scoperta tra Chiesa e Stato, di continuo sforzo di equilibrare rettamente diritti ed esigenze, da una parte e dall’altra. Lascio il mio posto «in corso d’opera», non ansioso ma fiducioso, confidando che i superiori e i colleghi, con i quali ho avuto il privilegio di collaborare in quest’opera, sappiano portarla a compimento, nei tempi e nei modi che la Provvidenza vorrà!
Rimango sempre un figlio della Custodia di Terra Santa, e perciò appassionatamente interessato alle vicende della nostra missione francescana nella patria terrena di nostro Signore. Per questa ragione non potrò non continuare a seguire le vicende dei rapporti tra la Chiesa e le nazioni della regione, l’israeliana e la palestinese, a cominciare dalle colonne di questa nostra rivista.