Giovani accampati per protesta sotto le tende nel centro di una città del Medio Oriente. L’accostamento con la piazza Tahrir del Cairo viene subito alla mente. Ma questa volta succede in Israele, nel cuore di Tel Aviv. E diventa così un fenomeno che vale la pena di osservare un po’ più in profondità.
Giovani accampati per protesta sotto le tende nel centro di una città del Medio Oriente. L’accostamento con la piazza Tahrir del Cairo viene subito alla mente. Ma questa volta succede in Israele, nel cuore di Tel Aviv. E diventa così un fenomeno che vale la pena di osservare un po’ più in profondità.
All’origine dell’iniziativa c’è la protesta degli studenti contro il prezzo sempre più alto delle case, problema molto serio, a Tel Aviv e non solo. Così – da qualche giorno – un gruppo di universitari ha scelto di attirare l’attenzione mutuando la tecnica dei ragazzi egiziani e degli «indignados» spagnoli: alcune tende sono state piantate lungo Rothschild Boulevard, uno dei viali più «in» di Tel Aviv. Per ora è una protesta molto colorata, ironica, guardata sostanzialmente con simpatia da chi passa lungo la strada. Ma il punto è che i giorni passano e loro rimangono lì. E – anzi – stanno progettando di allargare l’iniziativa con nuovi accampamenti gemelli da far spuntare in altre città israeliane. Come si vede bene dall’intervista che ha pubblicato il sito di Arutz Sheva si tratta di una protesta che rifiuta le etichette politiche. «Non siamo né di destra, né di sinistra, io sono cresciuta in un insediamento», dice Sarah Becker, una delle portavoce. Che quando deve indicare un modello per la gestione del problema casa cita l’esperienza di New York «dove le case sfitte sono acquistate dal pubblico e cedute a prezzi contenuti, a patto però che poi quando il proprietario le rivende non tragga profitto».
Che sia o no l’inizio di un movimento di protesta giovanile in Israele, di certo le tende di Rothschild Boulevard puntano il dito su uno dei maggiori elementi di fragilità oggi della società israeliana. Le torri residenziali di Tel Aviv, che crescono una dopo l’altra con i loro attici lussuosissimi (leggendario quello del ministro della Difesa, Ehud Barak), sono quanto di più lontano si possa immaginare rispetto all’epopea del kibbutz e dei pionieri, che pure si continua a raccontare gloriosamente ai ragazzi delle scuole. La stessa Gerusalemme si riempie di mega-appartamenti con vista sulle mura che restano vuoti gran parte dell’anno, perché a comprarli sono magari ebrei che hanno fatto fortuna a New York o a Parigi e una volta all’anno salgono in Eretz Yisrael. Non è solo un problema urbanistico o sociale: è un fenomeno in cui entra in gioco il tema dei temi in Israele e cioè il rapporto con «la terra». Perché non c’è solo l’idolatria dei coloni, con la loro smania di vantare il controllo su ogni sasso citato nella Torah. C’è anche questo volto solo apparentemente più laico dell’idolatria: perché che cos’altro sono quegli attici se non il modo di affermare – dall’alto – il proprio dominio sulla Terra di Israele?
Sono aspetti che Nahum Barnea, una delle grandi firme del giornalismo israeliano, racconta con la consueta lucidità nel commento che sul quotidiano Yediot Ahronot dedica ai ragazzi accampati a Rothschild Boulevard. La definisce «la protesta della classe media», lasciata colpevolmente indietro in questi anni dalle élite economiche del Paese. «Da una società che santificava la solidarietà – commenta con amarezza – ci siamo trasformati in una società grassa, gretta e vergognosa». Per ora è una festa – osserva Barnea -, ma con tutti i suoi limiti, perché questi ragazzi «hanno buone intenzioni, ma non una politica». Un po’ come a piazza Tahrir.
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