Senza l’Antico Testamento non si capisce il Nuovo. Questo vale anche per la trasfigurazione di Gesù sulla montagna. Mosè fu il primo a fare l’esperienza della trasfigurazione. Rimase quaranta giorni e quaranta notti sul monte Sinai a parlare con Dio. Questo contatto con Dio gli valse un’esperienza unica: «Il suo volto era raggiante», dice la Scrittura. La salita alla montagna prepara alla trasfigurazione. Non si tratta soltanto di una salita fisica, ma di una salita spirituale.
Ma serve qualche elemento in più per capire questa pagina evangelica. Adamo ed Eva, secondo la tradizione rabbinica, non erano stati creati nudi, ma con un vestito di luce (’or). Dovevano essere trasparenti l’uno all’altro. Questa trasparenza doveva essere fonte di gioia e di luce. Dopo il peccato, persero questo vestito di luce che si trasformò in pelle. Adamo ed Eva conobbero la sensualità, la volontà di dominarsi l’un l’altro e di trarre gioia l’uno dell’altro. Il loro itinerario spirituale consisterà così nel ritrovare la luce nonostante la sensualità. L’uomo si troverà a combattere una tensione interiore. Dovrà partire dall’eros per raggiungere l’agapê: questa è la difficile vocazione dell’uomo.
Questa lotta è però illuminata dalla speranza messianica. Il Messia, quando verrà – affermano le fonti rabbiniche – riporterà il vestito di luce di Adamo. I cristiani che accettano Gesù come Messia ricevono un vestito bianco nel battesimo. Sono chiamati ad essere figli della luce.
L’episodio della trasfigurazione indica che anche l’uomo è chiamato a ritrovare la trasparenza primitiva. Mosè ci indica la strada che porta alla trasfigurazione: l’uomo è chiamato ad entrare nel deserto, a spogliarsi di tutto quello che non serve. Deve poi salire sulla montagna, parlare con Dio. La preghiera rende possibile la trasfigurazione. Il volto dell’orante diventa raggiante. Non ha più paura del volto dell’altro, perché non si sente giudicato, ma amato da Dio.
Il realismo cristiano sa che dopo l’uscita dall’Egitto e il dono della Torah comincia la traversata del deserto. E la vita è la traversata del deserto con l’esperienza della sete. La scoperta del pozzo d’acqua nel deserto significa la scoperta dell’acqua viva della Parola di Dio che permette di traversare questa distesa ostile.
Accanto a Mosè appare Elia, il profeta. Elia era fuggito all’Horeb dopo aver ucciso i falsi profeti di Baal. La traversata del deserto fu difficile. Dio gli mandò un angelo che gli portò pane ed acqua per continuare la strada. Arrivato all’Horeb, entrò in una grotta. Dio non si manifestò nell’uragano, né nel terremoto, ma nel silenzio della voce (Qol demamah). Entrare in sé, ascoltare la voce del silenzio, è un altro modo di prepararsi alla trasfigurazione. La vocazione di Abramo è identica: Lek leka («Rientra in te. Va verso di te»).
La trasparenza di Adamo e di Eva ha una dimensione personale, ma anche sociale e, addirittura, politica. Paolo di Tarso ricordava ai cristiani che mangiavano il pane azzimo una responsabilità in più: dovevano mangiare a maggior ragione gli azzimi di sincerità e di verità.
Il fermento che fa gonfiare la pasta è simbolo dell’orgoglio umano: l’uomo si gonfia, vuol essere più importante di quello che è in realtà. Gli azzimi e il mistero pasquale ci introducono alla trasfigurazione. Sono la strada che permette all’uomo di ritrovare la sua vocazione iniziale: quella di essere figlio della luce.