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Israele, Siria e Libano, confini roventi

Giorgio Bernardelli
6 giugno 2011
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Per la seconda volta in pochi giorni ci sono stati dei morti ieri sulle alture del Golan. I palestinesi dei campi profughi siriani hanno provato a «ritornare in Palestina» e i soldati israeliani hanno sparato. La lettura prevalente è che la Siria voglia far crescere la tensione con Israele come diversivo rispetto alla repressione delle proteste contro Bashar Assad, ma è il Libano da tener d'occhio.


Per la seconda volta in pochi giorni ci sono stati dei morti ieri sulle alture del Golan. I palestinesi dei campi profughi siriani – nell’anniversario della guerra dei Sei giorni – hanno provato a «ritornare in Palestina» e i soldati israeliani hanno sparato. I media siriani parlano di una ventina di morti. La lettura prevalente oggi sottolinea il fatto che l’esercito siriano non abbia fatto nulla per fermare i palestinesi, puntando probabilmente a far crescere la tensione con Israele come diversivo rispetto alla repressione dei movimenti di piazza contro Bashar Assad che da settimane attraversano il Paese. E come prova si cita il fatto che anche in Libano i palestinesi avevano annunciato manifestazioni analoghe, ma sono stati fermati dall’esercito libanese che ha dichiarato la zona della frontiera con Israele zona militare chiusa.

Il problema vero – però – è che se questo è davvero il disegno di Assad proprio in Libano c’è poco da stare tranquilli. Se infatti – al di là di questi episodi – il regime siriano volesse giocare davvero sul serio la carta dello scontro con Israele non è certo alle alture del Golan che bisognerebbe guardare. Perché del promontorio sopra al lago di Tiberiade che sta ad appena 50 chilometri da Damasco si parla quando si vogliono lanciare segnali di fumo sulla pace. Per alzare la tensione con Israele è molto più comodo (e meno rischioso per la Sira) il Libano. Dove purtroppo oggi ci sarebbero tutte le condizioni favorevoli per un colpo di mano. Dal 12 gennaio, infatti, a Beirut non c’è un governo: proprio negli stessi giorni in cui dalla Tunisia iniziava a soffiare il vento che sta scuotendo tutto il mondo arabo Hezbollah ritirava i suoi undici ministri dal governo di unità nazionale guidato da Saad Hariri. E a cinque mesi di distanza il quadro politico in Libano è ancora in stallo.

Detto così può sembrare solo una questione di giochetti tra partiti sugli equilibri e sui portafogli del futuro governo. Invece non bisogna dimenticare che il Libano è il Libano. E a ricordarlo la scorsa settimana è arrivata una vicenda particolarmente inquietante: un braccio di ferro tra due diverse milizie intorno al ministero delle Telecomunicazioni. Con oggetto la gestione delle attrezzature per il terzo gestore della telefonia mobile del Paese, affare molto redditizio ma anche legato a filo doppio con gli scontri tra fazioni (Hezbollah dispone di una rete di telecomunicazioni che è una delle sue fonti di finanziamento).

In questo contesto di pericoloso vuoto di potere c’è stato qualche giorno fa anche l’attentato contro i soldati italiani dell’Unifil. Un ulteriore elemento che gioca evidentemente in favore della destabilizzazione, come sottolineava bene giorni addietro Michael Young nell’analisi che rilanciamo qui sotto, pubblicata sul quotidiano libanese The Daily Star. Young sostiene che la Siria non vuole un governo in Libano per accentuare gli effetti di un’eventuale uscita di scena di Assad.

Che succederebbe, allora, se come accaduto nel 2006 a un certo punto Hezbollah decidesse di far partire dei missili contro Israele? È quanto già prima che a Beirut non ci fosse più un governo si era chiesto Jeffrey White, esperto di studi strategici del Washington Institute for Middle East, in un libro intitolato If war comes, cioè «Se arriva la guerra». La sua conclusione è: scordatevi lo scenario del 2006; se scoppia una nuova guerra in Libano sarà molto più intensa e sarà un vero e proprio conflitto regionale.

C’è chi dice che la primavera araba sia cominciata a Beirut nel 2005. Forse oggi è proprio lì che ci sarebbe più bisogno che battesse un nuovo colpo.

Clicca qui per leggere l’analisi di Michael Young

Clicca qui per leggere sul blog libanese Qifa Nakbi la notizia sul braccio di ferro tra milizie sulle telecomunicazioni

Clicca qui per leggere la scheda del libro di Jeffrey White

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