Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Alla mensa della Siria cristiana

Daniele Civettini
7 giugno 2011
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Per lo sguardo di un archeologo la Siria è crocevia di civiltà antiche. Una regione «tra le più ricche del mondo per ricordi cristiani che vanno dal IV al VII secolo», così la descrive padre Pasquale Castellana, che ha speso sette lunghi lustri (dal 1968 al 2003) per strappare all’oblio e catalogare un numero cospicuo di dati che raccontano la storia del cristianesimo in quella terra. In questo libro il francescano ci offre una raccolta dei suoi scritti «minori».


Monofisiti opposti drammaticamente a bizantini cavillosi e rapaci; turisti religiosi, sin dall’epoca di Leone Magno, che si accalcano intorno alle colonne dei monaci stiliti e trovano rifugio presso chiese edificate attorno a loro; eremiti che dormono all’addiaccio in vecchi templi pagani scoperchiati o in alte torri appositamente costruite; chiese rurali dove è regola che i maschi entrino da una porta e le femmine da un’altra ma dove i ricchi seguono la Messa da strutture – dette bema – sopraelevate rispetto alla navata e al popolino.

Questo e altro è la Siria agli occhi dell’archeologia, crocevia di civiltà antiche, una regione «tra le più ricche del mondo per ricordi cristiani che vanno dal IV al VII secolo». Così la descrive padre Pasquale Castellana, frate della Custodia di Terra Santa e mente religiosa e scientifica che, in collaborazione con i confratelli Ignazio Peña e Romualdo Fernandez, ha speso sette lunghi lustri (dal 1968 al 2003) per strappare all’oblio, archiviare e condividere con la comunità dei ricercatori un numero cospicuo di dati che raccontano la storia del cristianesimo, ma non solo, nella terra di Simeone il Vecchio e del grande Marone.

Se i frutti di questo lavoro sono racchiusi soprattutto nei volumi degli Inventaires, editi a più riprese dalla Custodia di Terra Santa (vi si trovano, tra altri reperti, resoconti relativi a centocinquanta chiese, centosettanta tra eremi e monasteri, quattro colonne di stiliti, sessantuno torri di monaci reclusi, ecc), è ora disponibile per le Edizioni D’Errico una raccolta di tutti gli scritti «minori» di padre Castellana intitolata Trentacinque anni di ricerche nella Syria Christiana, comprensiva di articoli comparsi su riviste scientifiche, soprattutto gli Studia Orientalia Christiana, dal 1970 al 2005, che hanno il merito di condurre per mano anche il lettore meno specializzato all’interno di quesiti storici, politici, economici, o propriamente spirituali, tramite un metodo che parte dal dato empirico – archeologico – per tracciare un quadro complessivo, fondato, talvolta originale rispetto a quanto si dava per conosciuto su molte vicende piccole e grandi occorse in Siria dai tempi degli apostoli fino all’epoca dei regni normanni in Medio Oriente.

Trovano così spazio monografie brevi e preziose tese a restituire il vero volto della grande tradizione monastica siriaca, tra cui un opuscolo redatto sulla stessa materia in occasione della visita di Giovanni Paolo II in Siria del maggio del 2001, ma anche excursus come quello con cui padre Castellana offre il ritratto del vescovo Mar Mikhail al-Kabir, straordinario esempio (del Dodicesimo secolo!) di ecumenismo fiorito durante gli scontri tra normanni, bizantini e musulmani, o resoconti di intuizioni folgoranti, come il ritrovamento di una strada da Apamea ad Antiochia, percorsa presumibilmente anche da san Paolo, ma ignorata fino alla fine del ventesimo secolo.

Per riassumere la sua opera di studioso in relazione alle campagne dei grandi archeologi del passato, condotte nelle stesse terre fin dalla metà del Diciannovesimo secolo con De Vogüé, Butler, Mattern, Lassus, Tchalenko, padre Castellana afferma: «Abbiamo raccolto le briciole cadute (o trascurate) dai sontuosi banchetti di coloro che ci precedettero e abbiamo imbandito ugualmente una mensa dai molti sapori sconosciuti».

Forse poco s’accomoda l’immagine delle briciole con un campo di indagine di quindicimila chilometri quadrati, scelto con ragioni candide: «perché vicino ai nostri conventi e perché sino a quegli anni aveva edifici di epoca romana e bizantina ancora ben conservati».

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