Dopo le rivolte dello scorso gennaio, la situazione economica in Egitto non è migliorata. Secondo l’agenzia Bloomberg il Paese starebbe attraversando la peggiore crisi economica degli ultimi 30 anni. Tanto che anche l’Arabia Saudita ha promesso di intervenire con 4 miliardi di dollari di aiuti al nuovo governo egiziano.
(Milano/c.g.) – Dopo le rivolte dello scorso gennaio, la situazione economica in Egitto non è migliorata. Anzi. Secondo l’agenzia Bloomberg il Paese starebbe attraversando la peggiore crisi economica degli ultimi 30 anni. Tanto che anche l’Arabia Saudita ha promesso di intervenire con 4 miliardi di dollari di aiuti al nuovo governo egiziano.
Irin, agenzia di informazione del Coordinamento degli affari umanitari dell’Onu, lo scorso 10 maggio ha pubblicato un rapporto sull’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità avvenuto nelle ultime settimane nel Paese nordafricano. Aumento determinato soprattutto dalla scarsità di riserve strategiche.
Nelle ultime settimane, infatti, l’Egitto – che importa metà del suo fabbisogno alimentare e impone al pane un prezzo calmierato – ha dovuto sperimentare proprio la carenza di riserve di pane. Solitamente il costo imposto dallo Stato a una forma di pane è di cinque piastre, che equivalgono a circa sette centesimi di euro. Viceversa, il pane non calmierato costa 50 piastre, ben 70 centesimi di euro, dieci volte tanto il pane «di Stato». Di fronte alla carenza di pane a prezzi politici, la gente è costretta a comprarne al mercato nero. E, secondo alcuni osservatori, le famiglie egiziane sono così costrette a spendere in media il 40 per cento del proprio reddito per il cibo.
«La ragione di questo aumento dei prezzi sta nel fatto che il governo non sta proteggendo i consumatori dagli abusi dei commercianti», protesta Ahmed El-Naggar, responsabile del Centro Ahmar per gli studi politici e strategici. Un altro fondamentale genere di consumo che risente della crisi economica è il gas per cucinare. Il rapporto di Irin denuncia che le bombole di gas stanno scomparendo dal mercato. Secondo il governo la colpa sarebbe della situazione in Libia e a Gaza. Gouda Abdel Khaliq, ministro della solidarietà sociale egiziano, recentemente ha indicato come causa di questa carenza proprio il contrabbando di gas verso i Paesi confinanti. I contrabbandieri trarrebbero un vantaggio dalla differenze di prezzo a cui possono vendere il gas negli altri Paesi, molto più alto del prezzo imposto dal governo in Egitto. Anche altri generi alimentari molto diffusi e fondamentali per la dieta degli egiziani, come pomodori, cipolle, limoni, patate e zucchine hanno subito un forte innalzamento del prezzo e si acquistano con difficoltà.
Conferma la preoccupata analisi di Irin anche David P. Goldman, osservatore delle vicende mediorientali ed editorialista della rivista cattolica americana First Things, intervistato recentemente per le pagine in inglese di Terrasanta.net. «L’Egitto dipende enormemente dal cibo importato – spiega nell’intervista Goldman -. Acquista all’estero metà del suo grano e molti generi di prima necessità. La popolazione è molto povera (circa il 40 per cento guadagna meno di un euro e mezzo al giorno). In questo modo anche una piccola variazione nei prezzi del cibo può avere un forte impatto sull’alimentazione delle persone.
Il problema è che questo Paese ha sempre utilizzato i soldi provenienti dall’industria turistica e dalle rimesse degli immigrati per ripianare le uscite finanziarie dovute all’importazione di cibo». Da una parte, però, con le rivolte popolari il flusso di turisti s’è alquanto ridotto. Dall’altra «anche le rimesse sono crollate – spiega Goldman – perché il grosso proveniva da connazionali emigrati in Libia»; connazionali che con il conflitto in atto non stanno, ovviamente, più contribuendo in alcun modo all’economia nazionale.