Un confronto a più voci sull'oggi e domani della Palestina si è svolto sabato 14 maggio al Salone del libro di Torino. I palestinesi Jamil Hilal (sociologo), Sari Nusseibeh (docente di filosofia), e lo storico israeliano Ilan Pappé, moderati da Paola Caridi, si sono mostrati scettici sulla possibilità di uno Stato palestinese.
(Torino) – Grande partecipazione al Salone internazionale del libro di Torino per l’incontro Il Futuro della Palestina, svoltosi sabato 14 maggio. Relatori: Jamil Hilal (sociologo palestinese) Sari Nusseibeh (docente di filosofia alla Al Quds University di Gerusalemme), Ilan Pappé (storico israeliano e fondatore dell’Istituto per la pace a Givat Haviva). Gli ospiti hanno risposto alle provocazioni della giornalista Paola Caridi, che ha condotto l’incontro a partire dagli effetti che la rivoluzione araba ha avuto sul conflitto israelo palestinese.
Particolarmente interessanti le prospettive secondo le quali ciascuno dei relatori ha analizzato quella che è stata definita «l’alba di una nuova era». Per Hilal è importante che la leadership politica palestinese chiamata a riformulare una nuova strategia consideri prima di tutto il complesso problema dell’identità: «La Palestina non è soltanto la Cisgiordania e Gaza, perché vanno considerate anche le voci dei palestinesi che vivono in Israele e quelli della diaspora». Per Nusseibeh il recente accordo tra Hamas e Fatah è stata la conseguenza quasi obbligata del mancato appoggio per l’uno della Siria e per l’altro dell’Egitto, impegnati nei rispettivi terremoti politici. Ma è contata anche molto la pressione dal basso, dal popolo che ha chiesto con forza ai suoi leader di porre fine alle tensioni interne.
L’israeliano Pappé sottolinea che nel quadro ancora confuso, in cui tutti peraltro faticano a prevedere scenari futuri, «c’è un elemento costante, ovvero la politica israeliana che non ha subito il benché minimo cambiamento a fronte di quel che sta succedendo nel mondo arabo, perché spera di conservare il più a lungo possibile la divisione e lo status quo nella società palestinese».
L’attenzione si è spostata quindi sui giovani, protagonisti dei recenti eventi di piazza e alla questione su come si concilieranno le richieste «dal basso» con le scelte politiche «dall’alto». Tutti i relatori hanno commentato con forte perplessità la soluzione dei due Stati che potrebbe esser dichiarata il prossimo settembre. Hilal è particolarmente scettico sulla possibilità che nasca lo Stato di Palestina e, se anche fosse, è convinto che «sul campo nulla cambierebbe perché Israele continuerebbe a controllare i passaggi e le risorse dei palestinesi». Per Nusseibeh il problema non deve coinvolgere solo il versante palestinese: «È necessario pensare a un futuro come visione condivisa tra israeliani e palestinesi, pertanto sia gli uni sia gli altri devono procedere verso una prospettiva comune che rispetti innanzitutto i diritti umani».
Pappé si spinge oltre: «Se ci sarà la dichiarazione di due Stati, sarà il funerale di due Stati» perché «Israele cercherebbe di annettere ampie aree della Cisgiordania arrivando a proporre per il nuovo Stato di Palestina un perimetro inaccettabile anche per il più moderato dei palestinesi». Tre le vie proposte da Pappé per dare un nuovo futuro alla Palestina: «convincere i Paesi forti del mondo che il problema centrale è Israele e il regime sionista; risolvere, da parte palestinese, la questione della più ampia rappresentanza parlamentare; superare i processi del passato in modo da non demonizzare Israele né idealizzare la causa palestinese».
È allora auspicabile una rivoluzione anche in Israele? «Forse ci vorrebbe – ha risposto Pappé – ma preferisco parlare di una “evoluzione” sollecitata dalla pressione internazionale».