L’assalto di qualche giorno fa alla chiesa del quartiere di Imbaba al Cairo ha riportato sotto i riflettori la rivoluzione egiziana. L’avevamo lasciata con cristiani e musulmani insieme in piazza Tahrir a festeggiare la fine del regime di Mubarak e la ritroviamo con una chiesa in fiamme nel pieno di una tensione interreligiosa sul tema delle conversioni. Una tensione che anche dopo gli arresti di questi giorni non accenna a finire. Vuol dire che quella partita è già persa?
Credo che tanto era ingenua la prima lettura che voleva automaticamente scomparsi dall’Egitto tutti i problemi una volta deposto il rais, quanto sarebbe ingeneroso oggi seppellire ogni speranza sugli esiti della «primavera araba». Vale la pena quindi di dare un’occhiata a come l’Egitto sta discutendo in queste ore di quanto accaduto sabato a Imbaba. E la prima cosa che non si può non notare guardando i siti dei quotidiani del Cairo è che finalmente se ne sta discutendo sul serio. Non c’è paragone tra le analisi dedicate a questi incidenti e quelle che furono pubblicate in occasione dell’attentato di Capodanno contro i copti. Allora le veline imposte dal regime sopivano tutto nello schema dell’attacco che viene dall’esterno; oggi una stampa libera si interroga in maniera franca sul pericolo rappresentato per tutti dal settarismo. Mi ha colpito – in particolare – la serie di servizi che Al Ahram Weekly, quello che un tempo era il settimanale ufficiale, dedica ai fatti di Imbaba. Un’indagine seria, obiettiva, senza paura di denunciare ciò che non va. Proprio da lì rilancio qui sotto il bilancio dei 100 giorni trascorsi dal 25 gennaio, la data simbolo della rivoluzione: un’analisi che mette in luce senza pudori tanto le luci quanto le ombre. Già il fatto che oggi al Cairo si possano leggere articoli così non è poco.
Un secondo commento che segnalo è quello di Zeinobia, la blogger egiziana che è una delle voci più significative dei giovani del Cairo. Già prima di sabato Zeinobia denunciava il fatto che i salafiti avessero messo nel mirino la chiesa di Imbaba e che i militari stavano facendo finta di nulla. Va anche detto – però – che Zeinobia non è tenera nemmeno coi copti: sostiene infatti che anche tra le loro fila ci siano estremisti che soffiano sul fuoco. Che sia vero oppure no è interessante comunque quello che Zeinoba dice: sono problemi che nascono dalla debolezza della legalità che da troppo tempo contraddistingue l’Egitto. Questioni come i rapporti religiosi sono stati lasciati sostanzialmente nelle mani della logica dei clan. Mentre invece dovrebbero essere i tribunali a garantire i diritti di ciascuno. Mi sembra un’osservazione interessante.
Altro tema: ma da dove spunta fuori oggi in Egitto tutto questo attivismo dei salafiti? Su questo vale la pena di leggere un’analisi pubblicata ancora prima dei fatti di Imbamba da Al Masri Al Youm, il quotidiano indipendente del Cairo che è stato un altro dei simboli della rivoluzione di piazza Tahrir. È un articolo che parla infatti dei rapporti sempre più tesi tra Egitto e Arabia Saudita e di come Riyad veda con grande sospetto la svolta politica del Cairo. Guarda caso i salafiti sono finanziati dai soldi che arrivano dal Golfo Persico: non ci vuole molto a immaginare che i sauditi stiano utilizzando questa carta per dire la propria sul futuro degli equilibri di questo Paese cruciale per il Medio Oriente.
Però i giochi in questa transizione sono tutt’altro che chiusi. E lo si capisce bene da un’altra notizia che pubblica proprio Al Masri Al Youm. Uno dei ritornelli che abbiamo sentito più spesso in questi mesi è che in un Egitto democratico i più forti saranno comunque i Fratelli musulmani. Bene: la notizia delle ultime ore è che i Fratelli musulmani si spaccano. Dopo voci che si rincorrevano ormai da settimane Abuel Foutouh, il leader della corrente riformista all’interno del partito islamista, ha annunciato che si candiderà alle elezioni presidenziali in aperto contrasto con l’indicazione ufficiale del movimento. Foutouh è un punto di riferimento soprattutto per quei giovani «barbuti» che si sono uniti a tutti gli altri a piazza Tahrir. Ed è considerato l’uomo del dialogo anche con i copti e i partiti laici.
Mettendo insieme tutti questi pezzi credo emerga chiaramente come la situazione al Cairo sia ancora molto in movimento. E quanto la partita decisiva resti ancora tutta da giocare.
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Clicca qui per leggere il bilancio dei 100 giorni pubblicato su Al Ahram Weekly
Clicca qui per leggere il post di Zeinobia
Clicca qui per leggere l’analisi di Al Masri Al Youm sui rapporti tra Egitto e Arabia Saudita
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