A differenza che in Tunisia e in Egitto, nella Siria in rivolta il ruolo del clero musulmano sunnita svolge un'importanza di primo piano. In un Paese in cui è obbligatorio chiedere un'autorizzazione preventiva anche per una riunione di cinque persone, le moschee sono diventate punti di aggregazione degli oppositori. Ma non mancano le divergenze.
(Milano/l.b.) – Le ritrattazioni, i mea culpa, le confessioni di oppositori pentiti sono diventate ormai scene abituali trasmesse dalla televisione di Stato siriana, per scoraggiare l’estendersi della rivolta contro il regime di Bashar al-Assad. Tuttavia, la retromarcia del capo religioso sunnita di Daraa, la città dove le proteste sono cominciate oltre due mesi fa, ha riscosso una clamore particolare: essa ha infatti rivelato le incertezze, gli interrogativi, le divisioni all’interno dell’élite spirituale dei sunniti siriani.
I sunniti costituiscono la maggioranza della popolazione di un Paese in cui il potere è stato finora concentrato nelle mani della minoranza alauita, di matrice sciita. Lo sceicco Riak Aba Zeid di Daraa ha raccontato di essere stato costretto, da un gruppo di uomini armati e sotto minaccia di morte, a prendere posizione contro il presidente Assad e a dimettersi in segno di dissenso dalla guida della locale moschea; nell’apparizione sugli schermi ha annunciato di voler invece riprendere il suo ruolo e ha elogiato l’intervento militare del regime in città per evitare che «le bande dei violenti» prendessero il sopravvento.
A differenza di quanto avvenuto agli inizi in Tunisia e in Egitto, nella rivolta siriana il ruolo del clero musulmano, e in particolare sunnita, ha avuto un’importanza di primo piano. La Siria è un Paese dove è obbligatorio chiedere una autorizzazione preventiva anche per una riunione di cinque persone. Ovvio che le moschee siano diventate punti di aggregazione degli oppositori.
Fino a non molto tempo fa, secondo gli esperti di vicende siriane, il clero sunnnita costituiva uno dei pilastri del regime di Assad, nonostante le differenze religiose con gli alauiti. La protesta ha rimescolato tutte le carte. In base a dati raccolti sui siti dei gruppi per la difesa dei diritti umani, oltre una dozzina di imam sunniti sono stati arrestati dall’inizio delle manifestazioni, e alcuni di loro si trovano ancora in prigione o agli arresti domiciliari. In particolare lo sceicco Anas Al Ayrout di Banias, altra città ribelle occupata dai blindati siriani, è considerato l’ispiratore delle proteste locali.
Ci sono però altri che continuano ad appoggiare Assad, come è tornato a fare lo sceicco di Daraa, o che preferiscono tacere.
«In alcuni casi, è capitato che venissero contestati dalla folla in moschea quei predicatori che esortavano ad approggiare il processo riformatore annunciato dal presidente», osserva sul suo blog Wissam Tarif, un esponente di Insan, un’organizzaione per la difesa dei diritti umani che ha base a Beirut.
La situazione è molto fluida, e le proteste in Siria non possono – secondo i blogger e gli attivisti – essere identificate con una particolare componente sociale o confessionale: nelle manifestazioini ci sono liberali e conservatori, laici e Fratelli musulmani o anche salafiti. Data però l’importanza delle moschee, e il revival religioso musulmano negli ultimi dieci anni in Siria, l’atteggiamento dei predicatori sunniti sarà – dicono all’Istituto siriano per le comunicazioni e la ricerca strategica (con sede in Gran Bretagna) – un elemento rilevante per il futuro del Paese.