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Cristiani perseguitati e artigiani di pace

padre Gwenolé Jeusset ofm
23 maggio 2011
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A Istanbul, sia gruppi che persone singole vengono spesso a visitarci. Non si può certo dire che i nostri fratelli e sorelle d’Occidente ci abbiano abbandonato. Alcuni vengono a informarsi sulla nostra situazione, sulla nostra vita; altri, forse più numerosi, vengono già con un’idea propria: dato che ci troviamo in un Paese musulmano, siamo «necessariamente» dei perseguitati. La compassione di questi ultimi mi mette a disagio per due ragioni.

La prima è che i nostri «difensori» non fanno distinzione tra i Paesi in cui i cristiani sono perseguitati e quelli in cui, anche senza conoscere una situazione di piena libertà, la loro sorte non ha nulla di paragonabile ai primi. Quando dico, durante i miei soggiorno in Italia o in Francia, che vivo in Turchia, molti mi guardano come un valoroso candidato al martirio o come uno dei prossimi bersagli.

Non posso predire il futuro, e la morte di mons. Luigi Padovese (di cui ricorre il 3 giugno il primo anniversario – ndr) me lo ricorda. Ma non è possibile considerarmi alla stregua di qualsiasi altro missionario in un Paese non musulmano? Nulla di più, nulla di meno. Va bene, potrei essere ucciso anche la settimana prossima, ma la vita dei miei confratelli ha lo stesso valore della mia. Eppure l’uccisione di un missionario sotto cieli non islamici fa spesso molto meno rumore. Nella stessa settimana in cui venne assassinato don Andrea Santoro, due sacerdoti furono uccisi in Congo.

C’è una seconda ragione, più importante. Anche se la compassione, per dei cristiani perseguitati, è necessaria, per propiziare un avvenire di pace non serve un giudizio negativo su un intero gruppo umano considerato «nemico». Serve piuttosto un dialogo preceduto da un incontro sereno.

Bisogna anche guardarsi allo specchio e parlare dei fautori della violenza che si ritrovano in tutti i campi. Un pastore evangelico che brucia il Corano, sappiamo bene che alimenterà il clima d’odio tra le comunità… Sacrosanta libertà d’espressione, quanti crimini si commettono nel tuo nome!

Ci sono poi racconti di convertiti al cristianesimo che veicolano l’odio contro l’islam. Viceversa ci sono cristiani divenuti musulmani che insultano la loro vecchia religione. Non sono certo esempi che aiutano a preparare il futuro. A volte mi chiedo, per i cristiani, se il tempo del catecumenato preveda abbastanza spazio per gli insegnamenti sul perdono e sulla religione dell’amore.

Gli esempio, però, non mancano. Bisogna guardare a persone come il francescano Jean-Mohammed Abd el Jalil, battezzato cristiano nella Pasqua del 1928. Nonostante l’esilio e il terribile rifiuto nei suoi confronti da parte di quasi tutta la sua famiglia marocchina (e musulmana), fra Jean Mohammed non smise mai di dire quanto l’islam avesse valori religiosi profondi. La sua testimonianza ha aiutato la Chiesa cattolica a mutare il suo sguardo sull’islam prima e durante il Concilio.

La beatitudine degli artigiani di pace, se non può essere praticata facilmente dai neofiti, deve essere invece una priorità per quegli uomini e quelle donne che desiderano veramente la fine delle lotte religiose. Altrimenti avremo l’impressione di avere la coscienza a posto,  senza però aver contribuito a costruire la pace. Il fossato tra noi è già abbastanza profondo, sarebbe ora di prenderne coscienza per iniziare a colmarlo.

(traduzione di Roberto Orlandi)

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