A cento giorni dalla rivoluzione di piazza Tahrir, in cui gli egiziani uniti hanno rovesciato il regime di Hosni Mubarak, il clima di concordia nazionale tra musulmani e cristiani sembra solo un lontano ricordo. Lo scorso sabato notte sono stati almeno 12 i morti e oltre 200 i feriti, causati da cruenti scontri avvenuti tra musulmani e cristiani copti, al Cairo.
(Milano/c.g.) – A cento giorni dalla rivoluzione di piazza Tahrir, in cui gli egiziani uniti hanno rovesciato il regime di Hosni Mubarak, l’idilliaco clima di concordia nazionale tra musulmani e cristiani sembra solo un lontano ricordo. Lo scorso sabato notte sono stati almeno 12 i morti e oltre 200 i feriti causati da cruenti scontri avvenuti tra musulmani e cristiani copti, al Cairo, precisamente nell’abitato di Imbaba, quartiere nordoccidentale della metropoli. Scontri che riaprono una dolorosa ferita nel cuore della società egiziana.
Secondo numerosi testimoni i disordini sono iniziati a seguito dell’iniziativa di una schiera di musulmani integralisti, che hanno marciato sulla chiesa copta di Mar Mina, a Imbaba. La manifestazione sarebbe stata provocata da alcune voci riguardanti gli esiti di una relazione tra una donna copta, di nome Abeer, e un ragazzo musulmano. Secondo la versione diffusa in ambienti musulmani, infatti, la donna sarebbe stata rinchiusa contro il suo volere nella chiesa di Imbala, per impedire che si convertisse all’islam.
Secondo il blog egiziano Egyptian Cronicles, la notizia del rapimento sarebbe stata diffusa anche da diverse pagine Facebook e Twitter. In particolare, un utente di Twitter che si fa chiamare @masrislam, avrebbe anche lanciato un appello perché ci si recasse alla chiesa di Imbala, dove «una sorella musulmana era stata rapita». Tra i testimoni diretti degli eventi, anche Sarah Carr, operatrice dell’Iniziativa egiziana per i diritti della persona (Eipr), un’ong egiziana indipendente, giunta alla chiesa di Mar Mina verso le undici di sera. Secondo diverse testimonianze riportate dalla Carr, «la polizia sarebbe arrivata verso le sei del pomeriggio, quando già i musulmani avevano occupato la chiesa, mentre l’esercito sarebbe arrivato un’ora e mezza dopo, senza tuttavia riuscire ad intervenire veramente».
Nel corso della notte, tra la folla assiepata vicino alla chiesa, la Carr racconta di aver sentito colpi di pistola, slogan di gruppi di manifestanti di diversa estrazione, scene di violenza e tensione: da una parte c’era chi gridava «Cristiani e musulmani sono una cosa sola!» e diversi cristiani visibilmente preoccupati per quanto stava avvenendo. Dall’altra, un gruppo di manifestanti musulmani più estremisti, che a un certo punto hanno aggredito un giornalista, accusandolo di essere una spia. La Carr racconta di azioni gratuite di violenza: ad esempio, dopo l’attacco alla chiesa è stato appiccato il fuoco a un vicino palazzo di sette piani in cui vivono solo cristiani. Alcuni abitanti del palazzo si gettano dalle finestre per fuggire dal fuoco. La folla ha poi attaccato e distrutto un caffè e una panetteria di proprietà di cristiani nelle vicinanze (la Carr ha filmato e messo in rete quest’ultima distruzione). «A venti metri dal caffè c’era un presidio di militari che non hanno fatto nulla per bloccare la folla», racconta la Carr, che termina il suo racconto chiedendosi «come mai le autorità sembrano non aver mosso un dito durante un assalto durato ore da parte di violenti manifestanti contro la chiesa di Mar Mina».
La domanda rimbalza anche tra gli osservatori delle vicende egiziane, e non basta a sopirla la decisione del Supremo consiglio delle forze armate egiziane di portare davanti al tribunale militare i quasi duecento arrestati negli scontri.