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Al Cairo la sinagoga di Ben Ezra

Alberto Elli
23 maggio 2011
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Al Cairo la sinagoga di Ben Ezra
Una veduta panoramica dell'edificio che ospita la sinagoga di Ben Ezra, al Cairo.

Nel cuore del Cairo sorge una piccola sinagoga, nota col nome di Ben Ezra. Il fabbricato appartenne fino al Nono secolo ai copti (come chiesa dedicata all’arcangelo Michele) e dovette essere venduto nell'882 agli ebrei. Le vicende della setta che ne divenne proprietaria.


Nel cuore del Cairo vecchio sorge una piccola splendida sinagoga, nota col nome di Ben Ezra, rabbino di Gerusalemme al quale si deve una ristrutturazione dell’edificio all’inizio del Dodicesimo secolo. Il fabbricato appartenne fino al Nono secolo ai copti come chiesa dedicata all’arcangelo Michele. Stando a quanto riferisce la Storia dei Patriarchi (testo storico ufficiale della Chiesa copta), nell’anno 882 il patriarca Michele III – oberato da una tassazione arbitrariamente imposta dall’esoso califfo Ibn Tulun (870-884) che lo aveva anche fatto incarcerare per indurlo a versargli quanto chiedeva – fu costretto ad alienare questo immobile agli ebrei, così come altri luoghi di culto, per procurarsi denaro liquido.

In Egitto vivevano all’epoca due principali sette di ebrei: i rabbaniti e i qaraiti.

I primi comprendevano a loro volta due gruppi: da una parte i cosiddetti «palestinesi», che seguivano l’accademia talmudica della Palestina (Talmud di Gerusalemme), dall’altra gli «iracheni» o «babilonesi», seguaci del Talmud di Babilonia.

Agli ebrei talmudici si opponeva la setta dei qaraiti, sorta alla metà dell’VIII secolo in Iraq a opera di Anan ben David e da lui in origine chiamata degli ananiti. I membri di questa setta rifiutavano la tradizione rabbinica del giudaismo talmudico e ammettevano la Torah come unico testo sacro: essi ritenevano che la Torah fosse stata originariamente scritta con i segni diacritici delle vocali e degli accenti e, rimproverando alla tradizione masoretica di non includere tali segni nel testo sacro, contestavano l’autorità dei rabbini di interpretarla.

Nel IX secolo gli ananiti si unirono ad altri gruppi anti-rabbinici e divennero noti come qaraiti, ossia seguaci del testo scritto della Torah (essi chiamano sé stessi Bne Hamiqra «Figli della Scrittura»).

Ostili in Oriente, le sette dei rabbaniti e dei qaraiti convivevano senza problemi in Egitto: la sinagoga di Ben Ezra (kanisat al-Shamiyyin) apparteneva ai palestinesi, mentre degli iracheni era la sinagoga degli Iracheni (kanisat al-Iraqiyyin), in prossimità della chiesa patriarcale al-Mu’allaqa «la Sospesa». I qaraiti possedevano invece una sinagoga all’esterno del Cairo Vecchio, nel quartiere di Mamsusa, abitato prevalentemente da ebrei.

Il conflitto tra qaraiti e rabbaniti continuò nei Paesi islamici fino all’XI secolo, quindi si spostò in Europa, in particolare in Crimea e in Lituania, dove i qaraiti avevano costituito comunità numerose. Essi furono trattati come ebrei in tutte le nazioni in cui vissero, fino al Diciottesimo secolo, quando la Russia si annetté la Polonia: in quell’occasione Caterina II la Grande (1762-1796) dichiarò che i qaraiti erano esenti dalla tassa imposta agli ebrei. Da allora, le nazioni europee, compresa la Germania nazista, hanno considerato i qaraiti quali non-ebrei cosicché durante l’Olocausto essi vennero risparmiati.

Un’importante comunità qaraita, di circa settemila persone, era presente in Egitto, in prevalenza al Cairo, fino alla rivoluzione di Nasser nel 1952. Alla fine degli anni Settanta era ridotta a solo alcune decine di membri, per lo più anziani.

Un interessante documento in ebraico, rinvenuto al Cairo, ci illumina su una crisi scoppiata nel 1442 tra il governo musulmano e gli ebrei, ma che ebbe gravi ripercussioni anche sulla comunità copta. Durante un controllo effettuato dalle autorità musulmane nella sinagoga di Ben Ezra il 15 aprile 1442, si trovò che un minbar, ossia un ambone, di tredici scalini era stato recentemente restaurato senza i dovuti permessi. Un più attento esame rivelò che su due scalini erano stati incisi, e malamente erasi, i nomi Muhammad (Maometto) e Ahmad, che così erano stati calpestati ogniqualvolta il predicatore era salito sull’ambone. Non solo il minbar fu rimosso, ma si minacciò anche di tagliare i piedi a coloro che avevano calpestato quei nomi sacri. Tre ebrei vennero arrestati: due furono torturati a morte, mentre il terzo si salvò convertendosi all’islam. L’inchiesta venne allargata ad altri luoghi di culto, ebrei e cristiani, e si trovò che degli ebrei qaraiti avevano trasformato in sinagoga una casa ufficialmente destinata a scuola, mentre in una chiesa melchita erano stati fatti restauri utilizzando pietre di qualità migliore delle precedenti (per tali lavori si dovevano utilizzare pietre della stessa qualità o di qualità più scadente).

Giovanni XI (1427-1452), patriarca copto ortodosso, Filoteo I (1437-1450), patriarca melchita, Abd al-Latif ibn Ibrahim ibn Shams, medico e rappresentante degli ebrei rabbaniti, Faraj Allah, uno degli anziani degli ebrei qaraiti e Ibrahim ibn Salama ibn Ibrahim, capo dei Samaritani, furono convocati dal qadi Ibn Hajar al-Asqalani: si ribadirono solennemente le clausole restrittive del Patto di Omar, che sancivano lo stato di sudditanza dei non musulmani nei confronti dei dominatori islamici, e si impose alle comunità dei dhimmi il pagamento di una multa di quattromila dinari.

Altri documenti mostrano come anche nel 1446 ci furono simili indagini: una chiesa melchita nel Cairo Vecchio venne minacciata di distruzione poiché i cristiani avevano costruito un muro più alto dell’adiacente moschea. Nel 1456 i Copti furono trovati colpevoli di aver ecceduto nelle riparazioni delle chiese: alcuni furono bastonati e uno pubblicamente insultato per le vie della città.

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