Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

L’Incomprensibile vicino

Daniele Civettini
8 aprile 2011
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A suo modo Il deserto dei non credenti è un libro religioso, nel quale un giornalista fresco di licenziamento parte per una spedizione attraverso il Negev con nove occasionali compagni. Lui, che ha assaggiato tutto, offre al lettore il suo modo di ricostruire la Bibbia, incisivo, dissacrante, certamente libero dalle allegorie che fanno sempre quadrare i conti.


Agar con il piccolo Ismaele scacciati da Abramo, Elia il profeta, Gesù tentato da Satana, oppure Mosè e la sua generazione di israeliti, entrati nel deserto e morti senza uscirne più. Il deserto è per eccellenza il luogo dove Dio e l’uomo si incontrano, ma per gli scettici la sabbia è molto più arida, e nel deserto dei non credenti, la sete è più bruciante.

Così Il deserto dei non credenti di Paolo Paci, edito da San Paolo, è certamente un libro religioso anche se il protagonista, un giornalista fresco di licenziamento che parte per una spedizione attraverso il Negev insieme a nove occasionali e abbastanza disomogenei compagni, è tutt’altra figura rispetto a un Charles de Foucauld o a un Antonio abate.

L’iter nel deserto dei luoghi biblici, destinato a chiudersi a Gerusalemme, è l’oggetto del diario di viaggio di Paci, che, come premette l’autore, non nuovo a racconti di viaggi perlopiù condotti tra le Alpi, comprende personaggi e fatti per parte reali e per parte frutto della fantasia. Lo schema del «pellegrinaggio», a parte qualche stridente divagazione in avamposti turistici israeliani come il parco Timna e il kibbutz Yotvata, è assai semplice: si cammina e, quando si giunge vicini alle località dove la Bibbia si è fatta racconto di avvenimenti, si legge qualche passo corrispondente della Scrittura; per il resto, il diario raccoglie le sensazioni, i pensieri, le reazioni dei membri della comitiva che visibilmente, tolto il frate francescano che guida il gruppo, hanno trasportato la loro routine e il loro modo di pensare e di agire lungo le strade polverose del deserto.

Un preside, due reporter (uno «Azzurro» e uno «Rosa»), un teologo «Laico», una collezionista di presepi, un prete che cura l’ufficio stampa di un vescovo, una guida alpina, una fotografa: tutti personaggi statici, forse volutamente stereotipati, che in qualche modo rappresentano gli interlocutori più a portata di mano del protagonista (il «Disoccupato»), individui possibili che non escono cambiati dal Negev, né, a quanto sembra, si allontanano o si avvicinano a un Dio vieppiù silente.

E così il «Disoccupato», il giornalista che ha assaggiato tutto, l’alunno più scettico e intelligente della classe, ben poco mistico, carnale il giusto, offre al lettore il suo modo di ricostruire la Bibbia, incisivo, dissacrante, certamente libero dalle allegorie che fanno sempre quadrare i conti, e le sue domande sul trascendente e sull’immanente si rivelano sciolte dalle catene del dover essere: egli non ha nulla da difendere, né in questo mondo, che lo ha lasciato a piedi, né nell’altro, che non si comunica a lui tramite una confessione religiosa, tramite un’ortodossia da temere e custodire.

Per questo i grandi interrogativi che ogni uomo possiede, che molti uomini quasi rifuggono per paura di spezzare un equilibrio interiore, trovano nel «deserto dei non credenti» un’amplificazione, perché rimbalzano dalle pagine della Bibbia alla vita del «Disoccupato», uno che sostiene con lo sguardo l’ambivalenza del deserto, la contraddizione dell’incontro tra un’umanità grande e più spesso meschina e un Dio troppo incomprensibile per essere creduto.

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