Come capita praticamente sempre a Gerusalemme le feste religiose si intrecciano. Lunedì sera il mondo ebraico è entrato nella settimana di Pesach, la sua Pasqua, mentre domenica sarà Pasqua per i cattolici, ma anche per le Chiese che seguono il calendario giuliano. Un filo rosso lega tra loro queste celebrazioni: dovrebbero portare il credente a fare i conti con la storia...
Come capita praticamente sempre a Gerusalemme le feste religiose si intrecciano. Lunedì sera il mondo ebraico è entrato nella settimana di Pesach, la sua Pasqua che celebra la liberazione dalla schiavitù in Egitto. Mentre domenica – per una coincidenza che avviene per il secondo anno consecutivo – sarà Pasqua per i cattolici ma anche per il mondo ortodosso e tutte le Chiese che seguono il calendario giuliano.
Al di là del clima festivo c’è un filo rosso più profondo che lega tra loro queste celebrazioni: tanto la Pasqua ebraica quanto quella cristiana sono feste che dovrebbero portare il credente a fare i conti con la storia. Non stupisce, allora, ritrovare nelle parole dedicate ai riti di questi giorni anche tanti riferimenti alla «primavera araba» che da settimane ormai sta scuotendo il Medio Oriente. In questa Porta di Jaffa di Pasqua segnalo quindi due voci che mi sembrano particolarmente significative. La prima è di un autore che chi segue questa rubrica ormai ha imparato ad apprezzare: si tratta infatti della riflessione che Bradley Burston ha proposto sul blog che tiene sul sito del quotidiano israeliano Haaretz in occasione di Pesach. È molto bella perché anche questa volta sceglie un personaggio del rito per leggere il tempo di oggi.
Quest’anno Burston guardando al seder – la cena pasquale ebraica durante la quale si celebra l’Haggadah, il racconto della liberazione – ha scelto uno dei personaggi più strani. Nel seder infatti un ruolo importante è assegnato ai bambini: molti di noi hanno certamente sentito citare la domanda del più piccolo di casa che dà il là a tutto il racconto: «Perché questa sera è diversa da tutte le altre sere?». Ma i bambini sono bambini, e nella sua saggezza la tradizione ebraica nella celebrazione dell’Haggadah ha previsto anche un’altra figura, quella del Rashah. È il ruolo del monello di casa, il contestatore, il rompiscatole, che pone – in fondo – la stessa domanda ma in termini molto meno dolci: «Che cos’è mai questa vostra cerimonia?». E la risposta del rito è una pietra tombale: «Se tu fossi stato lì non saresti stato liberato».
Nella celebrazione del seder l’intervento del Rashah è diventato una specie di gioco scherzoso. Invece – scrive Burston – sarebbe forse ora di prenderlo un po’ più sul serio. Perché è il Rashah quello che pone la domanda vera: «Che cosa ha a che fare tutto ciò con la mia vita?». E se lo guardiamo così – sostiene provocatoriamente l’articolo – dovremmo capire che davvero quest’anno per un ebreo in Israele è diverso da tutti gli altri anni. «Perché quest’anno in Egitto, il ragazzo che era diverso, quello che pensava in maniera differente, quello che agiva in modo strano, ha guidato la comunità e agendo in questo modo è stato liberato. Perché è il Rashah quello che vede dove il resto di noi sta andando anche quando non lo vediamo, e soprattutto la direzione sbagliata dove il resto di noi sta andando. Perché è il Rashah quello che vede che quando non è condivisa la libertà è negata. Perché in fondo – continua Burston – il vero modello del Rashah è Mosè. Di continuo, infatti, gli israeliti sono furiosi con lui perché si avventura in strade nuove pericolose. Desta scandali che poi si riveleranno essere necessari».
«Per questa notte e solo per questa notte alla nostra tavola – conclude la sua riflessione Bradley Burston – non chiamiamo folli questi ragazzi. Prendiamoci il tempo di ascoltarli. L’anno prossimo potremmo anche cominciare a guardarli per ciò che sono. Il futuro di Israele».
È un’immagine molto bella che secondo me si collega bene alle parole che i capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme hanno scritto nel loro messaggio di Pasqua. «I cristiani assistono, in preghiera, agli sviluppi in Medio Oriente – vi si legge -. Preghiamo affinché le riforme portino ad una società civile in cui siano rispettate la libertà di espressione, la libertà di religione, i diritti umani, inclusi quelli di coloro che sono considerati, per numero, una minoranza. Invitiamo tutte le persone di fede e di buona volontà a ricercare la pace che non può essere comprata al prezzo del silenzio e della sottomissione alla corruzione e all’ingiustizia». Non c’è Pasqua per chi guarda alla sua liberazione come a un privilegio. È la lezione dei Rashah del Medio Oriente di oggi. Ma non è affatto detto che valga solo lì.
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