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I drusi del Golan tifano per Assad

Lucia Balestrieri
12 aprile 2011
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I drusi del Golan tifano per Assad
Una manifestazione filosiriana di drusi dei villaggi del Golan.

Dalle sommità di un confine ravvicinato, i circa 25 mila drusi che abitano le alture del Golan, occupate nel 1967 da Israele, seguono con ansia le proteste in Siria. Ben pochi tra loro si augurano una svolta. La maggioranza manifesta la propria fedeltà al presidente Assad e a un regime sotto il quale un giorno potrebbe tornare.


(Milano) – Dalle sommità di un confine ravvicinato, i circa 25 mila drusi che abitano le alture del Golan, occupate nel 1967 da Israele, seguono con ansia le proteste in Siria. Ben pochi tra loro si augurano una svolta. La maggioranza proclama e manifesta la propria fedeltà al presidente Bashar al-Assad e a un regime sotto il quale un giorno potrebbe tornare.

I drusi che abitano questa regione si dichiarano con orgoglio siriani. Rifiutano da sempre la cittadinanza israeliana e aspettano e sperano che le alture siano restituite prima o poi a Damasco. Differente l’atteggiamento degli altri 100 mila drusi che vivono in Israele: in gran parte (secondo la tradizione mimetica di questa minoranza religiosa islamica con influssi ebraici, cristiani e induisti) possiedono passaporto israeliano, sono arruolati nell’esercito, si sentono cittadini dello Stato in cui vivono e guardano agli eventi siriani con lo stesso interesse dell’opinione pubblica israeliana e con variegate idee. C’è tra loro anche chi – come lo scrittore druso Salmar Natour – auspica la caduta di Assad e un’alternativa più liberale.  

Per i drusi del Golan è diverso. Moltissimi hanno parenti e amici oltrefrontiera. Un tracollo del regime costituirebbe comunque un rischio e un’incognita per le loro famiglie. Con i loro cari un tempo riuscivano a parlare attraverso le «colline degli urli»: due picchi separati da una vallata a cavallo tra i due Paesi. Ci si arrampicava per comunicare a forza di grida, sfruttando l’effetto dell’eco. Ancora oggi qualcuno affida le proprie parole al vento, ma la tradizione è ormai caduta in disuso, soppiantata da Internet.

Waseef Qatar, un druso di Majdal Shams nel Golan, racconta a Ynet News, l’edizione elettronica del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth di chattare tutti i giorni con amici e parenti a Quneitra, Damasco ed anche a Daraa, l’epicentro della rivolta anti-Assad. «Mi dicono che solo il 10 per cento della popolazione si oppone al presidente; gli altri sono tutti con lui». Le forze antigovernative – prosegue – «si muovono sottotraccia per destabilizzare il regime». A Buqata, altro villaggio del Golan, si è svolta nei giorni scorsi una manifestazione di solidarietà con il presidente siriano Bashar al Assad. «Siamo scesi in piazza per esprimere il nostro appoggio al nostro leader e alla nostra patria», spiega Yussef Safdi. «Invece di contribuire a risolvere i problemi interni, (i dimostranti) sconvolgono e danneggiano la Siria».

Oltre ad un profondo coinvolgimento personale, da parte dei drusi del Golan vi è anche un ragionamento politico: se Assad dovesse cadere , nessuno sa chi, e con quali conseguenze, si potrebbe fare largo in un Paese dai potenziali grandi contrasti.

I drusi non sono del resto i soli a pensarlo, su una linea diconfine ancora formalmente in guerra, ma lungo la quale, da oltre trent’anni, vige uno scrupoloso cessate il fuoco. Lo confermano la cautela e il riserbo che sembrano unire sia i dirigenti israeliani che quelli palestinesi sul dossier siriano.

 

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