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Con Giovanni Paolo II sulle strade della Terra Santa

Terrasanta.net
29 aprile 2011
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Con Giovanni Paolo II sulle strade della Terra Santa
Giovanni Paolo II in preghiera nella chiesa dell'Agonia, al Getsemani. [1/3]

Marzo 2000, Papa Wojtyła, ormai provato dalla malattia, compie il suo pellegrinaggio giubilare ai Luoghi Santi. Nei giorni della beatificazione del Papa polacco, il bimestrale Terrasanta torna a quell'evento con il ricordo di un testimone d’eccezione: padre Giovanni Battistelli, all’epoca Custode di Terra Santa. Eccovene un'anticipazione.


Marzo 2000, Papa Wojtyła, ormai provato dalla malattia, compie il suo pellegrinaggio giubilare ai Luoghi Santi. Un viaggio che resta indelebile nella memoria di tutti per i gesti che il Pontefice compie, ma soprattutto per le sottolineature pastorali: il pellegrinaggio come cammino di conversione e come ritorno alle radici della fede. Nei giorni della beatificazione del Papa polacco, il bimestrale Terrasanta torna a quell’evento con il ricordo di un testimone d’eccezione: fra Giovanni Battistelli ofm, all’epoca Custode di Terra Santa. Eccovi un’anticipazione dell’articolo che comparirà nel numero di maggio-giugno della rivista.

***

Dopo quasi un anno di preparativi, Giovanni Paolo II giungeva in Terra Santa, al Monte Nebo, in Giordania, il 20 marzo 2000. Per i cristiani locali e per i fedeli di tutto il mondo presenti in quel santuario, fu un momento indimenticabile. A me sembrava di vivere una dimensione fuori dal tempo. Ricordo lo sventolio di bandiere, i lunghi attimi passati dal Papa ad osservare la Terra promessa con padre Michele Piccirillo (un’immagine che ha fatto il giro del mondo). Salii anch’io sulla macchina del Papa nel breve tragitto che separa il santuario del Nebo dal nostro conventino. Il Papa rifletteva ad alta voce sulle spiegazioni di padre Piccirillo, attento ad ogni più piccola cosa… A me, più che in auto, sembrava di volare alto in cielo!

Un secondo momento che ho impresso indelebilmente è la visita alla grotta di Betlemme, che mi apparve ancora di più, in quella occasione, una grotta piena di luce. Nel pomeriggio del 22 marzo, sorretto da me e da padre Giacomo Bini, allora ministro generale dell’Ordine, il Papa volle scendere alla grotta. Qualcuno dei giornalisti scrisse con enfasi che si rinnovava la visione di Innocenzo III, di Francesco che sosteneva la Chiesa. Nonostante la salute malferma del Papa, a me – più che sostenere – sembrò di essere sostenuto dalla grande forza morale e dalla fede rocciosa del Papa polacco. Per l’emozione mi tremavano le gambe, mentre lui con grande determinazione proseguiva nel suo incedere faticoso. Tra i due, forse il più debole ero io!

Volle poi visitare il campo profughi di Deishe, nei sobborghi di Betlemme. Non si trattò di una semplice visita di cortesia. Con la sua venuta Giovanni Paolo II volle testimoniare la vicinanza al popolo palestinese e alle sue sofferenze: «Saluto ognuno di voi – disse il Papa – e spero e prego che la mia visita rechi un po’ di consolazione nella vostra difficile situazione. A Dio piacendo, essa contribuirà ad attirare attenzione sulla vostra continua sofferenza. Siete stati privati di molte cose che rappresentano necessità fondamentali della persona umana: abitazioni adeguate, assistenza sanitaria, educazione e lavoro. Soprattutto, però, avete il triste ricordo di ciò che avete dovuto abbandonare: non solo beni materiali, ma anche la libertà, la vicinanza dei parenti, il vostro ambiente e le tradizioni culturali che hanno alimentato la vostra vita personale e familiare». (…)

I giorni conclusivi del pellegrinaggio giubilare in Terra Santa sono dedicati a Gerusalemme, con la vista al Getsemani e al Sepolcro. Il 26 marzo Giovanni Paolo II celebra la Messa solenne, dopo aver incontrato i vescovi e i patriarchi delle Chiese sorelle. Al Sepolcro lo accolgo con trepidazione all’ingresso della basilica. Durante l’omelia pronuncia parole che mi fanno vibrare nel profondo: «Da Nazaret, dove Gesù fu concepito dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, sono giunto a Gerusalemme, dove “patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto”. Qui, nella Basilica del Santo Sepolcro, mi inginocchio davanti al luogo della sua sepoltura: “Ecco il luogo dove lo avevano deposto” (Mc 16, 6). La tomba è vuota. È una testimone silenziosa dell’evento centrale della storia umana: la Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Per quasi duemila anni la tomba vuota ha reso testimonianza alla vittoria della Vita sulla morte. Con gli apostoli e gli evangelisti, con la Chiesa di ogni tempo e luogo, anche noi rendiamo testimonianza e proclamiamo: “Cristo risuscitato dai morti, non morirà più; la morte non ha più potere su di Lui” (cfr Rm 6, 9)». (…)

Al termine della celebrazione, si tiene il pranzo di saluto presso il patriarcato latino. E qui mi trovo a fare i conti con l’indole più vera di Giovanni Paolo II, quella dell’uomo poco incline ai protocolli e ai cerimoniali. Mi fa chiamare due volte e mi chiede con insistenza di tornare a visitare Calvario. Con il nunzio è ancora più esplicito: «Non parto se non ritorno a visitare il Golgota». Una visita che mandò in tilt i servizi di sicurezza ma che il Papa, pur nella fatica di una malattia che lo associava sempre più alla sofferenza di Cristo, compì come estremo saluto alla Terra Santa e ai luoghi della morte e della resurrezione di Cristo. (…)

Nel corso del pellegrinaggio giubilare ho avuto la grazia di essere testimone oculare dell’intensità con cui il Papa ha vissuto ogni momento: mi è sembrato di vedere condensata in lui la preghiera di tutta la Chiesa e l’aspirazione a Dio di tutta la famiglia umana. Il Papa ha visitato con riverenza e con atteggiamento di preghiera anche i luoghi venerati da ebrei e musulmani, tracciando percorsi di riconciliazione, dialogo e collaborazione per il bene di tutta l’umanità. Le ripetute richieste di perdono al popolo dell’Alleanza, il desiderio di purificare la memoria della Chiesa per riprendere il cammino nella storia con rinnovato vigore, hanno dato ai gesti che Giovanni Paolo II ha compiuto al memoriale della Shoah, lo Yad Vashem, e al Muro occidentale, un significato speciale, le cui conseguenze, sul piano storico e sociale, potremo percepire nel tempo a venire.

Ma a me, semplice francescano che da tanti anni calpesta le strade di Terra Santa, resta soprattutto la grazia di essergli stato vicino, di aver ascoltato le sue parole, di aver respirato la sua fede. Di aver ricevuto nuovamente da lui il mandato ad essere fedeli alla nostra missione di pace, riconciliazione e dialogo.

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