Dall'estate scorsa il vescovo anglicano di Terra Santa, Suheil Dawani, non ha più il diritto di abitare a Gerusalemme come residente. E la sua diocesi conferma oggi che, esauriti tutti gli altri tentativi, il vescovo è deciso a intraprendere un’azione legale contro le autorità israeliane. Ma l'esito del ricorso ai giudici appare incerto.
(Roma) – La diocesi anglicana di Gerusalemme ha confermato che il vescovo Suheil Dawani è deciso a intraprendere un’azione legale contro le autorità israeliane che hanno deciso, in modo inaspettato, di non rinnovargli il permesso di soggiorno da residente.
In una dichiarazione pubblica diffusa questa mattina, la diocesi spiega che il prelato anglicano «cercherà di ottenere giustizia attraverso il sistema legale israeliano», dopo che il procuratore generale non ha reagito alla richiesta dei legali del vescovo di motivare ufficialmente il mancato rinnovo del visto. «Questa situazione va avanti da oltre sei mesi, nel corso dei quali il vescovo Dawani ha cercato di giungere a una soluzione con riserbo e senza creare imbarazzi al governo di Israele», spiega il comunicato. «La mancata soluzione, a dispetto di tutti gli sforzi messi in atto, impone al vescovo Dawani di fare ricorso agli avvocati».
Si è giunti a questo punto nonostante che a sostegno del vescovo anglicano di Gerusalemme siano scesi in campo l’arcivescovo di Canterbury, altri leader della Comunione anglicana, diplomatici occidentali e il rabbino capo sefardita di Israele Shlomo Amar. Al vescovo Dawani e alla sua famiglia il rinnovo del visto è stato negato l’estate scorsa. Secondo le autorità ci sarebbero delle accuse pendenti nei confronti del presule che «avrebbe agito in concerto con l’Autorità Palestinese per trasferire a palestinesi, o intestare alla Chiesa, terreni appartenenti ad ebrei».
Nel suo comunicato, la diocesi anglicana dice che il vescovo sarebbe anche accusato di aver falsificato dei documenti, ragione per cui dovrebbe lasciare immediatamente Israele con la sua famiglia.
«Dawani – prosegue il comunicato della curia – ha risposto al ministro dell’Interno israeliano rigettando le accuse e chiedendo il rinnovo del permesso di soggiorno per sé e i suoi congiunti, così da poter continuare a svolgere il proprio ruolo di guida della diocesi risiedendo a Gerusalemme con la famiglia. Il vescovo non ha ricevuto alcuna risposta dall’ufficio del ministro».
Dawani fu eletto vescovo anglicano di Gerusalemme nel 2007 ed è uno dei capi delle tredici Chiese presenti in Terra Santa. Stando a quanto riferisce la sua diocesi, fin qui a tutti i vescovi anglicani di Gerusalemme non in possesso di cittadinanza israeliana sono stati concessi permessi di residenza.
Nato a Nablus, il vescovo, come ogni altro palestinese della Cisgiordania, deve essere in possesso di uno speciale permesso di soggiorno israeliano per risiedere a Gerusalemme Est, dove si trova la curia diocesana. Tanto lui quanto moglie e figlie si erano visti rinnovare regolarmente i permessi nel 2008 e 2009.
Oltre che godere del sostegno dei leader religiosi, la causa del vescovo è appoggiata dal ministro degli Esteri britannico, dall’ambasciatore del Regno Unito in Israele e dal console generale inglese a Gerusalemme, oltre che dal Dipartimento di Stato Usa e dal console generale statunitense. Canali diplomatici che hanno tutti facilitato i contatti tra Dawani e le autorità israeliane, ma senza che si raggiungessero «risultati tangibili», secondo il comunicato diocesano.
Un portavoce del ministero dell’Interno israeliano, contattato dall’agenzia ecumenica di informazione ENInews ha detto che la questione «è delicata» e che «una risposta dettagliata verrà fornita in tribunale nell’ambito del ricorso che è stato presentato». Un altro funzionario israeliano coperto dall’anonimato avrebbe ribadito all’agenzia che il caso «è molto serio», senza però spingersi oltre. «Nessuno – secondo la stessa fonte – intende allontanare Dawani da Gerusalemme. Gli è stato offerto di rimanere con un diverso status, rilasciandogli un permesso di lavoro, ma ha rifiutato».
I problemi per il rilascio dei visti di ingresso e di soggiorno del clero e del personale religioso costituiscono una preoccupazione per tutte le Chiese che operano in Terra Santa, ne limitano la possibilità di operare e incidono sul fabbisogno di personale. La questione è all’ordine del giorno anche dei negoziati in corso tra Israele e Santa Sede. Nonostante la speranza che la situazione potesse migliorare in modo decisivo dopo la visita di Benedetto XVI in Terra Santa nel 2009, non molto è cambiato.
Secondo qualche osservatore non è affatto detto che il vescovo Dawani abbia la meglio nel suo ricorso, poiché il governo è libero di non fornire motivazioni. Taluni aggiungono che portare la questione in tribunale può essere un errore, perché un pronunciamento sfavorevole dei giudici fornirebbe un ulteriore copertura giuridica al governo. Vista così la cosa, sarebbe stato meglio continuare ad avvalersi dei canali diplomatici e religiosi, appellandosi al diritto naturale e alla libertà religiosa.
Intanto il vescovo anglicano di Gerusalemme aspetta che i giudici fissino una data per l’udienza.