La «rivoluzione» egiziana del 25 gennaio scorso, che ha portato allo scioglimento come neve al sole del regime Mubarak, faceva respirare un clima di concordia nazionale con la partecipazione a una causa comune da parte di cittadini d’ogni appartenenza religiosa. Ma nei giorni scorsi sono riprese, con morti e feriti, le violenze tra copti e musulmani.
(Milano/g.s.) – La «rivoluzione» egiziana del 25 gennaio, che ha portato allo scioglimento come neve al sole del regime Mubarak e all’uscita di scena dell’anziano presidente l’11 febbraio scorso, faceva respirare un clima di concordia nazionale con la partecipazione a una causa comune da parte di cittadini d’ogni appartenenza religiosa.
Solo poche settimane sono trascorse e il sogno sembra già dissolversi. Il 5 marzo le cronache hanno registrato nuove violenze dei musulmani sui connazionali copti. Teatro degli incidenti questa volta è stato Sol Atfih, un paese situato poche decine di chilometri a sud della capitale. La scintilla, come non raramente accade, pare essere stata una questione amorosa: un corteggiatore cristiano avrebbe messo a repentaglio l’onorabilità di una donna musulmana. Il padre di costei si sarebbe però rifiutato di lavare l’onta con il sangue della figlia e per questa ragione sarebbe stato a sua volta punito con la morte da un cugino che riteneva disonorato tutto il clan. Quest’ultimo veniva a sua volta ucciso dal figlio della vittima. Dopo i funerali dei due uomini la tensione è salita alle stelle e alcune migliaia di persone hanno sfogato la loro rabbia sulla chiesa copta di San Mena e San Giorgio dandola alle fiamme. Gli assalitori avrebbero anche impedito ai vigili del fuoco di estinguere l’incendio. Un coprifuoco prontamente imposto sulla cittadina è servito a contenere l’immediato espandersi delle violenze e le possibili rappresaglie dei 12 mila residenti copti.
Purtroppo i fatti di Sol Atfih hanno fatto da miccia all’esplodere di nuove tensioni pochi giorni dopo al Cairo. A giornate tesissime, durante le quali manifestanti copti hanno inscenato proteste davanti alla sede della tivù pubblica e in piazza Tahrir, ha fatto seguito l’esplodere incontrollato della violenza tra musulmani e cristiani nella notte tra l’8 e il 9 marzo. L’apice della tensione si è raggiunto nel quartiere del Mokattam, una delle aree più povere della megalopoli egiziana, dove gli scontri hanno fatto scorrere altro sangue e causato almeno una quindicina di morti.
Proprio ieri è giunta a Terrasanta.net la testimonianza di un frate minore che vive in quella zona. Racconta abuna Antonio: «Non si riesce più a dormire. Di notte si aggirano ladri e delinquenti. Sappiamo di tassisti assaliti, derubati e lasciati nudi in mezzo alla strada. Nelle scuole materne spariscono i bambini (per questo all’asilo del Mokattam sono state rinforzate le misure di sicurezza con doppia vigilanza). La vera e propria battaglia scoppiata nella notte tra l’8 e il 9 nella vallata degli zabbaleen (i raccoglitori di immondizia) del Mokattam ha visto i cristiani asserragliati nella valle che rispondevano al fuoco dei musulmani schierati sulla montagna. Gli scontri sono andati avanti per tre ore, fino a quando è intervenuto l’esercito con mezzi corazzati pesanti e sparando all’impazzata. Qui si parla di una ventina di morti e di un centinaio di feriti».
La sorte degli egiziani cristiani e la possibilità che godano in pieno dei loro diritti civili in una società più sanamente laica, è tra le molte incognite che il dopo Mubarak porta con sé.