(Milano) – Il treno ad alta velocità progettato per collegare Gerusalemme e Tel Aviv non smette di dividere l’opinione pubblica israeliana e quella palestinese. Pensata a partire dal 1995, iniziata nel 2001 la linea ferroviaria che dovrà rendere più agevole (e veloce) raggiungere la costa e l’aeroporto internazionale Ben Gourion dalla città santa, è stata più volte interrotta dagli ambientalisti, preoccupati per il danno che l’infrastruttura avrebbe potuto causare ad alcune aree verdi d’Israele.
Proprio per dare un taglio al contenzioso con le associazioni ambientaliste, il tracciato di 55 chilometri (con lunghi tratti in galleria e viadotti) è stato modificato: lambirà le aree nei pressi della Linea Verde (la linea armistiziale del 1949) vicino a Latrun, ma entrerà anche nei Territori palestinesi occupati dopo il 1967. Il nuovo percorso prevede infatti una tratta di circa 6 chilometri all’interno della Cisgiordania, in violazione – sostengono i palestinesi e le associazioni per i diritti umani – della Quarta convenzione di Ginevra, che vieta lo sfruttamento delle terre da parte della potenza occupante.
La costruzione di infrastrutture permanenti non fa che rendere ancora più problematico il cammino verso la pace tra Israele e Palestina, che dovrebbe culminare nel riconoscimento di uno Stato palestinese autonomo. La linea dell’alta velocità (denominata A1), finirà per spezzettare ulteriormente il territorio palestinese, rendendo difficile, quando non impossibile, raggiungere comunità e villaggi. Secondo le associazioni filo-palestinesi, l’opera si inquadrerebbe in una politica che mira a rendere di fatto impossibile la creazione di un’entità statale palestinese, oltre a svuotare i Territori dalla popolazione locale, privata delle principali fonti di sussistenza. Da parte israeliana si sottolinea invece l’importanza di questa infrastruttura (che dovrebbe essere terminata nel 2017) per la modernizzazione del Paese e per rendere più agevole il collegamento – anche per turisti e pellegrini – tra la costa e Gerusalemme. La nuova linea permetterà infatti di percorrere in meno di 30 minuti (e a 200 chilometri orari) la distanza che ora viene coperta in 90 minuti.
I villaggi maggiormente toccati dal passaggio dell’alta velocità sono Beit Surik e Beit Iksa. A Beit Surik, i contadini palestinesi pur avendo subito la confisca di vaste aree coltivate per la costruzione del Muro di separazione, erano riusciti a vincere una causa internazionale nel 2004 presso la Corte di Giustizia dell’Aja, che aveva bloccato parte degli espropri. Con il tracciato dell’A1 si ripropone l’incubo della confisca.
Beit Iksa è un villaggio abitato in prevalenza da rifugiati della guerra del 1948. Il 40 per cento della terra agricola del villaggio è già stato confiscato per l’edificazione della colonia ebraica di Ramot; un’ampia zona agricola è stata tagliata in due dal muro israeliano. Lo scorso novembre, le autorità israeliane hanno consegnato al consiglio del villaggio l’ordinanza per l’acquisizione delle terre necessarie per il progetto ferroviario A1, oltre alla realizzazione di opere collaterali. Si teme per la sorte di cinquecento ulivi, che sono la principale fonte di sussistenza per molte famiglie del villaggio.
In un suo rapporto, l’associazione pacifista Coalizione di donne per la pace ha diffuso i nomi di tutte le aziende internazionali che hanno vinto gare d’appalto per le farie fasi dei lavori dell’A1. Tra queste c’è anche la Pizzarotti Spa di Parma (attraverso la controllata Shapir Pizzarotti Railways). Proprio in queste settimane l’azienda starebbe iniziando a lavorare alla perforazione di un tunnel ferroviario che attraversa i Territori occupati.
Per questa ragione, anche in Italia, è nato un comitato denominato Coalizione italiana Stop the Train, che si prefigge di fare pressione sull’azienda affinché si ritiri dal progetto.