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L’onda lunga egiziana

Giorgio Bernardelli
4 febbraio 2011
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L’onda lunga egiziana
Egiziani nelle piazze delle maggiori città del paese.

In Israele e in Palestina si segue con il fiato sospeso quanto sta succedendo in Egitto. In una situazione così in movimento e dagli esiti tanto incerti prevale il panico: in Israele, soprattutto, si palpa il terrore di ritrovarsi di nuovo a fare i conti con il Cairo. Ma questi sono i ragionamenti della geopolitica. Cerchiamo ad ascoltare altre voci, che stanno provando a guardare più lontano.


In Israele e in Palestina si segue con il fiato sospeso quanto sta succedendo in Egitto. Come è ovvio che sia. In una situazione così in movimento e dagli esiti tanto incerti prevale il panico: in Israele, soprattutto, si palpa il terrore di ritrovarsi di nuovo a fare i conti con il Cairo, dove era sostanzialmente Mubarak l’unico garante della pace fredda firmata negli anni Settanta con Sadat. Per non parlare di che cosa vorrebbe dire non poter più contare su un Egitto che controlli davvero quanto succede nel Sinai o al confine con Gaza.

Ma questi sono i ragionamenti della geopolitica, che non so fino a che punto aiutino a leggere realmente quanto sta succedendo in questi giorni in Medio Oriente. Per questo preferisco rilanciare qui altre voci, che secondo me con coraggio stanno provando a guardare più lontano. Ho trovato molto bello, ad esempio, l’ultimo articolo scritto su Haaretz da Bradley Burston. Già l’attacco dice tutto: «Voglio che gli egiziani vincano la loro rivoluzione. E lo dico da israeliano. Voglio che i nostri vicini, il popolo dell’Egitto, ci mostri come ha fatto. Voglio che ci mostriate l’ultima cosa che ci aspettiamo di vedere. Perché solo quando vediamo le nostre assolute certezze dimostrarsi sbagliate, quando ciò che non avevamo affatto previsto ci colpisce, quando l’inconcepibile nell’arco di una sola notte diventa inevitabile, allora il cambiamento diventa possibile (…). Voglio che ci facciate finalmente capire che nella vita reale ci sono cose che vanno al di là delle nostre previsioni, al di là del nostro controllo, al di là della nostra illusione di sapere sempre che cosa è meglio per noi e per gli altri».

Sono parole forti, quelle di Burston: ad esempio non esita a sottolineare la concomitanza tra gli egiziani che scendono in piazza per affermare la loro libertà e il parlamento israeliano che discute di creare una commissione di inchiesta su chi finanzia le ong che in Israele si battono per la difesa dei diritti umani. Ma è l’idea di fondo quella che conta: l’idea che non ci può essere vera sicurezza per Israele se a garantirla sono dei dittatori. «Vorrei che i miei concittadini capissero – scrive Burston – che solo se la gente dell’Egitto vincerà la sua battaglia per la democrazia e la libertà, il popolo di Israele potrà aver vinto davvero».

Ho già nelle orecchie l’obiezione che tutti porranno a Bradley Burston: si è visto in Palestina nel 2006 come è andata a finire con questa idea della democrazia. Come allora aprì la strada ad Hamas, così oggi in Egitto succederà coi Fratelli musulmani. E quindi è molto meglio trovare una terza via, una transizione, che garantisca gli equilibri. Personalmente ci andrei piano con questi discorsi. Tutte le testimonianze dicono che la piazza del Cairo va ben oltre l’opposizione islamica incarnata dai Fratelli musulmani. Non solo: c’è anche un’altra cosa molto interessante che sta succedendo a Gaza. In teoria – se tutti questi ragionamenti avessero un senso – il governo di Hamas dovrebbe stare con la piazza che si ribella a Mubarak. Invece lunedì ha disperso una manifestazione di solidarietà con gli egiziani e arrestato alcuni dei promotori. Perché?

La risposta è molto semplice: perché evidentemente Hamas in queste ore ha paura. Perché anche tra i giovani della Striscia c’è un malcontento dilagante nei confronti di chi li ha portati nel vicolo cieco in cui si trovano. Così la battaglia degli egiziani diventa anche la loro battaglia. Lo si vede chiaramente frequentando il mondo dei blogger: Lisa – del blog Live from 360 kmq of chaos – scrive «Egitto siamo con te» e aggiunge che ormai i palestinesi non hanno più fiducia «né in Fatah, né in Hamas». Sulla pagina Facebook di Gaza Youth Breaks Out – il gruppo di giovani che qualche settimana fa ha dato per primo voce a questo disagio – si parla apertamente di fare come al Cairo. E stamattina l’agenzia palestinese Maan sostiene che comincia a circolare anche una data, quella dell’11 febbraio, il venerdì della prossima settimana: dovrebbe essere il giorno della «Rivoluzione della dignità». Maan sostiene che dietro a questi appelli ci sia la mano di Fatah ed è probabile. Ma difficilmente – se questa protesta a Gaza dovesse davvero concretizzarsi – gli uomini di Fatah sarebbero poi in grado di controllarla.

Nessuno sa come andrà a finire, ma sta succedendo certamente qualcosa di importante in Medio Oriente. E non è detto che – alla fine di tutto questo – le forze in campo siano rimaste davvero quelle di prima.

Clicca qui per leggere l’articolo di Bradley Burston

Clicca qui per leggere la notizia di Maan sulla protesta indetta a Gaza per l’11 febbraio

Clicca qui per leggere il manifesto di Gaza Youth Breaks Out

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