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Lahham: La Chiesa cerca un suo ruolo nella nuova Tunisia

Edward Pentin
25 febbraio 2011
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Lahham: La Chiesa cerca un suo ruolo nella nuova Tunisia
Monsignor Maroun Lahham, arcivescovo di Tunisi.

Si susseguono le notizie sull’arresto del presunto colpevole dell’omicidio di un giovane salesiano polacco trovato morto in una città non lontana da Tunisi il 18 febbraio scorso. Ne abbiamo parlato con l’arcivescovo della capitale tunisina, mons. Maroun Lahham. Il presule commenta anche l’attuale situazione politica in Tunisia.


(Roma) – Mentre si susseguono le notizie sull’arresto del presunto colpevole dell’omicidio di padre Marek Marius Rybinski – un giovane salesiano polacco trovato morto a Manouba, città non lontana da Tunisi, il 18 febbraio scorso – abbiamo parlato con l’arcivescovo della capitale tunisina, mons. Maroun Lahham, sulle possibili ragioni della morte violenta del sacerdote. Il presule commenta anche in breve l’attuale situazione in Tunisia e la violenza che ha colpito il Paese nelle settimane scorse.

Eccellenza, quali sono le ragioni dietro l’assassinio di padre Marek Rybinski?
È una questione di soldi. L’uomo tratto in arresto (Chokri Ben Mustapha Bel-Sadek El-Mestiri – ndr) è un falegname che di tanto in tanto svolgeva lavori nella scuola dei salesiani di Manouba e aveva ricevuto in prestito 2 mila dinari (poco più di mille euro), per acquistare alcune cose che gli servivano per i suoi interventi nella scuola. Ma l’uomo, che doveva anche far fronte a spese per la sua ex moglie e i figli, ha usato il denaro per quello. Padre Rybinski (che era l’economo della comunità salesiana di Manouba – ndr) ha preteso la restituzione dei soldi o la realizzazione dei lavori. Colto dalla disperazione, l’assalitore, è andato nel panico e ha ucciso il sacerdote per chiudere definitivamente la questione.

Dunque non ci sono motivazioni religiose?
Saranno le indagini a chiarirlo, aspettiamo il processo. Intanto i nostri avvocati sono al lavoro e pongono tutte le questioni, ma al momento non emergono considerazioni d’ordine religioso.

C’è chi dice che le tensioni religiose siano in aumento in Tunisia. È preoccupato? Crede che il fenomeno possa intensificarsi sotto un nuovo governo?
In tutto il mondo arabo c’è un partito islamico che mantiene un basso profilo. Se i Paesi arabi diventano democratici, aumentano le possibilità per questi partiti di crescere e acquistare maggiore visibilità. Ciò può accadere anche in Tunisia, anche se tutte le inchieste dicono che solo il 10-12 per cento della popolazione sostiene i partiti islamici.

Nella crisi che ha recentemente sconvolto il Paese quale contributo di assistenza ha potuto fornire la Chiesa?
Questa crisi non ha nulla a che fare con la Chiesa e viceversa. È qualcosa di culturale, di politico. Abbiamo attraversato tensioni e ora resta da vedere come evolverà la situazione e cosa cambierà. Il Paese ormai sembra tornato stabile. La Chiesa cerca un ruolo nuovo da giocare in questa situazione inedita, per mettersi al fianco dei giovani tunisini e aiutarli ad andare verso una vita di libertà, dignità e democrazia.

Si parla di problemi alla frontiera tra Libia e Tunisia. Può dirci qualcosa di più in proposito?
Sì, ci sono tensioni al confine, indotte dalle migliaia di tunisini che si trovavano in Libia per lavoro e che ora vogliono rientrare. Hanno problemi coi libici, che li accusano di fomentare anche là quella rivoluzione che è nata in Tunisia. Lo stesso accade agli egiziani. Tutta questa gente cerca di rimpatriare ma al confine trova difficoltà. Il governo tunisino sta facendo del suo meglio per aiutarla.

Quale esito auspica dal punto di vista sociale e politico per la Tunisia?
Speriamo nel miglior sistema democratico possibile. Speriamo che in giugno e luglio si svolgano le elezioni e che la Tunisia possa giocare un ruolo da pioniere tra tutti i Paesi arabi, con elezioni libere e trasparenti che ci portino verso un governo democratico parlamentare, inshallah.


 

Il cordoglio per padre Marek

I funerali di don Rybinski saranno celebrati nella cattedrale di Tunisi nel pomeriggio di lunedì 28 febbraio. Poi la salma partirà per la Polonia. L’arcivescovo Lahham il 23 febbraio ha scritto una lettera a tutti i fedeli in cui esprime il dolore della diocesi per l’omicidio del 34enne missionario polacco. Ne riportiamo alcuni stralci, in una traduzione dal francese dell’agenzia di informazione salesiana Ans.

***

Che dire? Orrore, tristezza, indignazione, rivolta, preoccupazione, paura, dubbio… tutto è mescolato. Perché don Marek è stato ucciso? Per duemila dinari! Si osa appena crederlo. Vi sono certamente dei dettagli che non conosco. Al contrario, ci sono delle cose che so:

– So che don Marek aveva scritto, due settimane prima del suo assassinio, a proposito del popolo tunisino: «È una nazione giovane, intelligente, incapace di violenza (sic!), profondamente buona che non è capace di odiare».

– So che aveva appena scritto il suo primo libro sulla Tunisia, nel quale dice tra l’altro: «Durante il soggiorno in Tunisia, il mio atteggiamento verso i miei fratelli musulmani è molto cambiato. Questa paura del terrorismo e dell’estremismo è completamente scomparsa. I tunisini sono così accoglienti, amichevoli e cordiali. Mi insegnano questo atteggiamento».

– So che si era proposto volontario per venire in Tunisia quattro anni fa, quando era stato da poco ordinato sacerdote.

– So che aveva chiesto del denaro ovunque per creare dei nuovi locali per la scuola che amava molto e di cui era economo.

Immagino di stare di fronte al suo assassino per porgli alcune domande: perché hai ucciso, veramente, don Marek? E perché in questo modo barbaro? La sua giovane età e la sua innocenza non ti hanno ispirato nessun sentimento di pietà? Né il suo fisico gracile? L’hai ucciso a colpi di martello, non era sufficiente? Era veramente necessario sgozzarlo e lasciarlo giacere nel suo sangue? Come hai potuto dormire dopo averlo fatto? Di che pasta sei fatto? Che religione professi? Sei di quelli che credono nel Dio compassionevole e misericordioso (Al Rahman Al Rahim?) Come fai convivere il tuo crimine con la tua fede?

Rispondi a queste domande, tranquillizzaci, tranquillizza il nostro cuore di padre e di fratelli… Poi, ti prometto il perdono. Dovrai prima chiederlo a Dio, e poi avrai quello della Chiesa cattolica di Tunisia.

«Se il seme caduto a terra non muore…». È caduto, è morto, e seguendo l’esempio di Cristo, a cui don Marek si era consacrato, ha portato frutto. Tutti i messaggi di solidarietà, tutte le scene di partecipazione, i fiori deposti sulla porta della cattedrale, i tunisini e le tunisine che hanno manifestato davanti alla cattedrale con gli slogan «Marek, perdono!», i giovani tunisini venuti alla cattedrale domenica 20 con dei fiori, le lacrime agli occhi… «Non l’abbiamo ucciso, dicevano, questa non è la Tunisia… Perdonateci!»; e sono andati via abbracciando le suore.

Le reazioni ufficiali sono dello stesso tenore, il primo ministro, il ministero degli Interni, degli Esteri, del Lavoro, dell’Istruzione, degli Affari religiosi, del Turismo; gli ambasciatori arabi e stranieri, anche il partito islamico Al Nahda… C’era bisogno dell’assassinio di un sacerdote per renderci conto di tutta questa partecipazione e di questo affetto? Il prezzo è molto alto. Apprezziamo enormemente tutti questi gesti di amicizia, ma essi non valgono una goccia del sangue del nostro Marek.

E adesso? Ebbene, andiamo avanti. Non è il momento del panico, è quello della fede, della pazienza, della precauzione. Andarsene? Non se ne parla, i tempi difficili non sono tempi di fuga. Lo dico innanzi tutto a mio nome, e penso di poterlo dire a nome di tutto il personale religioso della Chiesa di Tunisia e in nome dei cristiani presenti nel Paese. Lo dico anche per i nostri fratelli musulmani ed ebrei. Noi restiamo in questo Paese che ci accoglie, che ci ama e che noi amiamo. Restiamo anche per voi, perché vogliamo arricchirci con la vostra presenza e la vostra differenza, e vi proponiamo anche i valori nei quali crediamo e che cerchiamo di vivere malgrado le nostre debolezze, dei valori che vi possono offrire un supplemento di fede, di speranza e di fiducia.

La vita è più forte della morte, l’AMORE anche.

+ Maroun Lahham, arcivescovo

 

 



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