«I giorni più belli della mia vita e anche quelli più radiosi mai visti nel mondo arabo»: così il teologo musulmano Mohammed Esslimani, a Roma in questi giorni per un simposio internazionale, racconta entusiasta l’esperienza vissuta al Cairo nelle settimane della rivoluzione di piazza Al Tahrir contro il regime di Hosni Mubarak.
(Roma) – «I giorni più belli della mia vita e anche quelli più radiosi mai visti nel mondo arabo»: così Mohammed Esslimani, teologo esperto del Consiglio per il Fiqh (diritto) islamico, membro dell’Organizzazione per la conferenza islamica (Oci) di Gedda in Arabia Saudita, racconta, con un entusiasmo e una gioia che gli illuminano gli occhi, l’esperienza vissuta al Cairo nelle settimane della rivoluzione di piazza Al Tahrir contro il regime di Hosni Mubarak.
«Anche nel Regno Saudita, qualcosa si sta muovendo», osserva in un’intervista con Terrasanta.net. I fatti gli danno ragione: re Abdullah, rientrato questa settimana a Riyadh dopo tre mesi di malattia e convalescenza (tra Stati Uniti e Maroccco), ha promesso ai suoi sudditi più investimenti per l’edilizia, per l’assistenza sociale e per consentire ai giovani di proseguire i loro studi all’estero.Un segno di apertura. Benché vi siano state infatti poche manifestazioni di dissenso, anche in Arabia Saudita – secondo molti esperti – la voglia di cambiamento esiste e i problemi sociali si sono acutizzati: la disoccupazione riguarda il 40 per cento dei ragazzi sauditi tra i 15 e i 24 anni.
Dal 25 gennaio, data di inizio della rivolta egiziana, Esslimani si è trasferito, col permesso dei suoi superiori, al Cairo per seguire, come molti intellettuali islamici, gli avvenimenti nel più popoloso Paese arabo. Ha tenuto un diario di «quei giorni straordinari»: tira fuori di tasca i fogli un po’ stropicciati e ne legge qualche passaggio: «29 gennaio, 2 di notte: sto tornando a casa da piazza Al Tahrir, dove ho visto cose mai vissute prima nelle nostre società. Tutte le generazioni, tutti i gruppi etnici insieme contro la prepotenza del potere». «Quando qualcuno tentava di imporre slogan religiosi, veniva subito zittito», racconta poi a voce.
C’erano anche i copti, «nonostante che papa Shenuda III avesse dato ordine di non unirsi ai manifestanti. Ho visto con i miei occhi un ragazzo copto che aveva alzato uno striscione che recitava: “Sono cristiano e sono qui”». Esslimani, che proviene da un Paese dove è persino vietato esporre in pubblico qualsiasi simbolo cristiano, è rimasto colpito dalla convivenza interreligiosa della piazza Al Tahrir. «C’era una ragazza cristiana che si è tolta un foulard, penso fosse pure costoso e firmato, per prestarlo a un ragazzo musulmano che lo ha usato come un tappeto per la preghiera islamica del pomeriggio», narra il teologo quasi con incredulità. Ed ancora: durante i sermoni dell’imam nella piazza del Cairo, solo le persone nelle prime file riuscivano a sentire le parole. «Un giorno, un ragazzo cristiano ha preso il megafono e ha rilanciato il discorso e le preghiere del religioso».
Esslimani, che ha partecipato in questi giorni a un convegno della Comunità di Sant’Egidio dal titolo L’agenda della Convivenza, ha riposto per il momento in valigia la classica galabia, e ha indossato un abito occidentale, con tanto di cravatta gialla. Il suo impegno liberale è conosciuto; è un ospite fisso di tanti appuntamenti di dialogo tra musulmani e cristiani. Tra pochi giorni indosserà di nuovo il vestito tradizionale arabo per il suo rientro a Gedda; su di lui tuttavia, come su tanti altri intellettuali islamici, è evidente il segno profondo lasciato dalle vicende tunisine ed egiziane. «Anche nel mio Paese qualcosa si sta muovendo e non riguarda solo lo status delle minoranze sciite delle regioni petrolifere dell’Est», conclude con un sorriso pieno di speranza.