L’editoria italiana da tempo ha permesso ai lettori di poter apprezzare la narrativa israeliana. Tra i tanti autori menzionabili come non ricordare David Grossman, Amos Oz, Meir Shalev, Yoram Kanyuk, Yehoshua Kenaz, Rina Frank, Assaf Gavron… Non si tratta solo di bravi scrittori, bensì di intellettuali impegnati in prima linea nell’ambito dell’articolato dibattito sul processo di pace in Israele.
Approfittando del passaggio in Italia di alcuni di loro in occasione soprattutto di premi letterari, il bollettino della Comunità ebraica di Milano ha raccolto una serie di interviste, dalle quali emerge, seppur con sfumature diverse, la consapevolezza di essere «la coscienza critica del Paese, le sentinelle del suo presente, i testimoni del futuro», fra realismo e speranza. «È per me molto amaro oggi renderci conto e capire quanto la società civile, quella israeliana e quella palestinese, sia chilometri più avanti, più matura ed evoluta di chi la governa. La verità? La gente di Israele e la gente di Palestina è pronta al compromesso storico. Ovvero a venire a patti con una coabitazione difficile ma necessaria». Queste le parole di Amos Oz, in Italia per ritirare due premi letterari – quello della Fiera del libro di Torino e quello del Festival Internazionale di Cultura Ebraica OyOyOy! – e per presentare agli italiani il Centro Peres per la Pace, organizzazione non-profit fondata nel ’96 dal presidente di Israele e Nobel per la Pace Shimon Peres. «Credo fortemente nella pace e nella riconciliazione – prosegue – e sono un grande appassionato fautore dei compromessi. Sono oramai quarant’anni che parlo della necessità di una riconciliazione fra israeliani e palestinesi, e della soluzione di due popoli in due Stati. È fondamentale lavorare affinché i popoli, le persone comuni, la gente, tutti insomma alzino la propria voce e parlino forte e chiaro. E, soprattutto, credere fermamente che se ci facciamo sentire, alla fine i leader politici ci ascolteranno». Il suo impegno nel promuovere il Centro Peres è a favore di un incontro fra israeliani e palestinesi su un piano personale e umano, lavorando sul fronte dell’educazione alla pace e alla costruzione di ponti culturali.
Significative anche le dichiarazioni di alcuni scrittori convenuti recentemente a Milano per il premio Letterario Adei Wizo (Associazione donne ebree italiane) Adelina della Pergola. «Non sempre accade, ma talvolta gli scrittori possono ricoprire un ruolo sociale», spiega Assaf Gavron – primo premio con La mia storia, la tua storia (Mondadori) – il quale è convinto che la strada obbligata per raggiungere la pace sia quella che conduce alla fine dell’occupazione, che definisce «qualcosa di sbagliato non solo per i palestinesi ma anche per noi (israeliani). Sulla stessa linea anche Yehoshua Kenaz – secondo premio con Paesaggio con tre alberi (Nottetempo) – che aggiunge: «A impedire un dialogo costruttivo ci sono gli estremismi, che portano avanti le proprie ragioni, sordi e ciechi a qualsiasi possibilità di mediazione», per questo vanno combattuti cercando soluzioni geopolitiche che possano conciliare le ragioni dei due popoli. «Questo è il solo cambiamento verso cui il Paese deve muoversi», ribadisce Rina Frank – primo posto per la sezione ragazzi con Vite fragili (Fanucci) – «prevaricare è cosa sempre negativa».