Che cosa sta succedendo in Egitto? E - dopo quanto già successo in Tunisia - le dimostrazioni di queste ore rappresentano davvero un punto di svolta per tutto il Medio Oriente? Mai come oggi è importante prestare ascolto alle analisi che ci arrivano da questa stessa regione del mondo.
Che cosa sta succedendo in Egitto? E – dopo quanto già successo in Tunisia – le dimostrazioni di queste ore rappresentano davvero un punto di svolta per tutto il Medio Oriente? Mai come oggi è importante prestare ascolto alle analisi che ci arrivano da questa stessa regione del mondo.
E il primo punto di riferimento non può essere che Al Masry Al Youm, il quotidiano egiziano più sganciato dal controllo di Mubarak. All’indomani delle prime proteste di martedì ha pubblicato un editoriale intitolato «La nuova opposizione egiziana». Un apertura di credito rispetto al movimento sceso in piazza, che il giornale identifica come un’alternativa tanto a Mubarak quanto ai Fratelli musulmani. Al Masry Al Youm sottolinea l’assenza di simboli e slogan religiosi in piazza e sostiene che lo stesso asse d’opposizione formato dagli islamisti e dall’ex direttore dell’Agenzia atomica internazionale Mohammad El Baradei sia rimasto inizialmente spiazzato e ora stia cercando di riprendere in mano la piazza.
Con i dimostranti e contro Mubarak si è schierato anche lo scrittore egiziano Alaa Al Aswani, che oggi racconta sul sito del quotidiano inglese Guardian la sua giornata in piazza. Rilanciando un paragone pesante: quello che sta succedendo in queste ore in Medio Oriente, sostiene, ricorda le manifestazioni di piazza del 1989 nell’Est Europa: è l’espressione di una situazione insostenibile che nessuna polizia potrà mai fermare. I regimi – sostiene Al Aswani – possono rimanere in piedi finché offrono comunque alla gente condizioni di vita dignitose. Ma in Egitto oggi mancano sia la libertà sia il necessario per sopravvivere. Anche lo scrittore, poi, sottolinea il ruolo dei giovani e della gente comune nelle proteste di queste ore, che non a caso viaggiano attraverso i blog e twitter.
Prima la Tunisia, adesso l’Egitto. E poi? È la domanda che si pone il sito bitterlemons-international.org, proponendo un’analisi interessante delle diverse situazioni Paese per Paese. L’analista Issandr El Amrani dà per scontato che si infiammi ulteriormente l’Algeria, mentre si chiede se l’onda riuscirà a scalfire anche la Libia di Gheddafi, definita come il più poliziesco dei regimi del Maghreb. Discorso diverso, invece, per il Marocco dove vi sono state riforme significative. Anche se il malcontento è cresciuto in questi ultimi tempi e anche il governo ha mostrato un volto molto meno aperto sulla libertà di espressione. In generale, comunque, El Amrani pone il problema dei problemi: l’idea che i regimi alla Moubarak fossero per l’Occidente un baluardo stabile contro l’estremismo si è rivelata sbagliata. E con questo fatto gli interessi dell’Occidente d’ora in poi dovranno fare i conti.
Un ultimo sguardo interessante sui fatti dell’Egitto è, infine, quello che arriva dall’Iran: «Il gigante arabo addormentato si è svegliato» titola Tehran Times, il quotidiano in lingua inglese molto vicino al ministero degli Esteri. Che non manca di mettere nel mirino anche il presidente palestinese Abu Mazen, sull’onda delle rivelazioni dei dettagli delle trattative segrete con Israele. Forse varrebbe la pena di ricordare che l’onda dei giovani, prima ancora che da Tunisi, è partita da Teheran nel giugno 2009. Ricordiamo tutti come è andata a finire. Di certo – al di là dei proclami del ministero degli Esteri – la polizia iraniana sta tenendo d’occhio con molta attenzione la situazione nelle università, dove la protesta non è mai stata domata del tutto.
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