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Cenacolo, un «restauro» di cui non vantarsi

Giuseppe Caffulli
24 gennaio 2011
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Non tutti hanno accolto compiaciuti un articolo apparso nei giorni scorsi sulla stampa italiana in cui don Luigi Verzé, fondatore dell'ospedale San Raffaele di Milano, rievoca il ruolo da lui svolto nel presunto restauro del Cenacolo (a Gerusalemme) ormai 15 anni fa. Monsignor Giuseppe Nazzaro, vescovo in Siria, all'epoca era Custode di Terra Santa. E ci dà la sua versione.


(Milano) – Sull’altra sponda del Mediterraneo non tutti hanno accolto con un sorriso la lunga anticipazione che il Corriere della Sera di mercoledì 19 gennaio scorso ha dato di una testimonianza di don Luigi Verzé (apparsa sul numero 23 di Kos, la rivista del San Raffaele). Nel testo, il presidente della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor (oltre che presidente e rettore dell’Università Vita-Salute San Raffaele) rievoca la vicenda del presunto restauro del Cenacolo a Gerusalemme.

L’anziano prete veronese (classe 1920), ascrive la genesi della propria volontà di «restaurare» il Cenacolo a un suo viaggio a Gerusalemme nel 1972: «Guardavo l’abbandono spregiativo del Cenacolo, dove il Cristo ci donò se stesso insieme al suo unico comandamento, «amatevi l’un altro come io vi ho amati» (Gv 15,12), e così fondò la sua Chiesa. Da sempre la Terra Santa di parte cristiana ferve di liti». Dalle parole del sacerdote-manager nel campo della sanità, si potrebbe arguire – contrariamente ai fatti notori – che l’abbandono o la scarsa cura del Cenacolo siano imputabili alle Chiese cristiane…

Incredibilmente don Verzé, che si è assunto la grave responsabilità di disattendere le direttive in materia dategli dalla Segreteria di Stato vaticana, per sostenere con i danari dei donatori le iniziative e i progetti di chi altro non vuole che confermare la sottrazione del Cenacolo alla Chiesa, ritiene di dover esternare contro «la potente frangia dei francescani custodi dei luoghi sacri di Gerusalemme, (…) offesi perché senza il loro consenso avevo chiesto e ottenuto dal governo ebraico l’autorizzazione al restauro».

Parole davanti alle quali non può che reagire mons. Giuseppe Nazzaro, oggi vicario apostolico latino di Aleppo, in Siria, ma all’epoca dei fatti Custode di Terra Santa, quindi la persona che più autorevolmente ne può parlare.

Innanzitutto, per capire la questione almeno nei suoi contorni generali, basti dire che il Cenacolo, cioè la sala dove è avvenuta l’ultima cena di Gesù con i suoi apostoli prima della Passione, divenne proprietà dei Frati Minori per donazione dai Reali di Napoli, Roberto d’Angiò e Sancia d’Aragona, che lo avevano comperato nel 1333 dal sultano d’Egitto. Questo acquisto e questa donazione ebbero il solenne avallo della Santa Sede, nella persona di papa Clemente VI, nel 1342. Il Cenacolo si trovò quindi all’interno del complesso della prima casa madre della Custodia francescana di Terra Santa, e il titolo originale del padre Custode di Terra Santa è stato – e rimane sempre – «Guardiano del santo Monte Sion» (dove il Cenacolo è situato). Fu nel 1551 che gli ottomani, che da pochi anni avevano conquistato Gerusalemme, si impadronirono con la forza dell’intero complesso acquisito legittimamente dai frati. La Custodia di Terra Santa non ha mai accettato che tale occupazione violenta entrasse in prescrizione, e da allora fino ad oggi rivendica incessantemente, a nome della cattolicità, la restituzione dell’intero complesso, quindi anche e soprattutto del Cenacolo, ai legittimi proprietari.

Ora, in seguito alla guerra arabo-israeliana del 1948-49, il Cenacolo venne dichiarato dallo Stato di Israele «proprietà di assenti» e poi trasferito al demanio, e fatto amministrare effettivamente da una serie di ministeri. Come è stato da tempo reso noto dai mass media, la restituzione alla Custodia del Cenacolo è sull’ordine del giorno della lunga (ed estenuante) trattativa bilaterale tra la Santa Sede e Israele per l’attuazione dell’Accordo fondamentale del 1993.

Don Verzé dunque nulla ha ottenuto quanto al recupero del Cenacolo, che si trova, oggi come ieri, nelle medesime condizioni di sequestro nelle mani dello Stato.

«Don Verzé – attacca mons. Nazzaro – sostiene, e non da oggi: “Come sacerdote cattolico non potevo permettere che il Cenacolo si trovasse in una situazione tanto penosa”. Ma lo sa in che condizione si trova oggi? Ha pagato 5 milioni di dollari per il “restauro”… Bisognerebbe capire come siano stati usati. Unico segno, alla porta d’entrata, una targhetta posticcia in italiano, inglese ed ebraico con la dicitura: restauro eseguito con il contributo del San Raffaele di Milano. In seguito, feci notare personalmente a un dottore ebreo che lavora al San Raffaele e che cercava di tenere i fili tra Milano e la Custodia, che il lavoro “effettuato” era un’autentica presa in giro. Che fine avevano fatto i 5 milioni di dollari? Mi disse che erano serviti per esami tecnici dei vari materiali…».

Resta il fatto che durante il Giovedì Santo del 1996 (4 aprile), ci fu una cosiddetta solenne inaugurazione dei restauri… Racconta il padre Custode emerito, mons. Nazzaro: «La sera della famosa inaugurazione tutti erano presenti eccetto la Custodia. Io vi mandai l’allora segretario padre Ruggero Erba. Gli dissi: “Mettiti in borghese e vai a vedere cosa succede”. Don Verzé dice di aver riconsacrato il Cenacolo… In realtà quella sera ci fu una grande profanazione del luogo sacro, perché vi fu dato un concerto seguito da un cocktail. Quello che non dice è che si prese subito i rimbrotti dell’allora delegato e nunzio apostolico, l’attuale card. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo. Così agendo aveva leso i diritti dei francescani che erano i legittimi proprietari del Sacro Luogo. Egli fece finta di nulla: ormai s’era impegnato con l’allora sindaco di Gerusalemme Teddy Kollek, che sapeva molto bene il fatto suo».

Ma la vicenda non rischia di risultare solo una bega intra-ecclesiale, difficile da comprendere per chi non è abituato al contesto delle Chiese di Gerusalemme e alla non sempre facile coabitazione con le altre religioni? In fondo, perché non approvare chi cerca di superare barriere, steccati e chiusure?

Per chi vive nel contesto mediorientale, fa capire mons. Nazzaro, le cose risultano profondamente diverse. Nella mentalità e nella consuetudine orientale, chi esegue i lavori di manutenzione di un bene, ne afferma la proprietà. E i lavori (quel poco che ce n’era), con il concorso del San Raffaele, sono stati eseguiti dal governo israeliano. Cosa che – paradossalmente – potrebbe costituire un precedente capace addirittura di ostacolare una possibile restituzione del Cenacolo alla Chiesa cattolica.

Per rimarcare questo concetto mons. Nazzaro riprende le parole del giurista francescano padre David Jaeger: «La Custodia francescana non ha mai rinunciato al suo diritto di proprietà rispetto al Luogo Santo, e per tutti questi secoli ha preteso, ed esige, tuttora la sua restituzione. Lo ha fatto e lo fa a nome di tutta la Chiesa cattolica ovunque nel mondo, che, per mandato pontificio, la Custodia rappresenta in questo ed altri Luoghi Santi. Come segno perenne della non-acquiescenza nei risultati ingiusti dell’estromissione violenta, il titolo principale ed originale del Custode di Terra Santa rimane sempre quello di “Guardiano del santo Monte Sion”, come si vede anche dal suo sigillo».

Da noi interpellato, lo stesso padre Jaeger aggiunge anche questo: «Non sarà stata l’unica volta in cui qualcuno venuto da altre parti si affaccia sulla situazione così delicata e complessa dei Luoghi Santi e della Chiesa di Terra Santa con la presunzione di potervi intervenire con la forza (nel caso, la forza del “braccio secolare”) per rifare tutto a propria immagine e somiglianza, rischiando di causare notevoli danni alla Chiesa. In materia si richiede sempre attentissima vigilanza, ma anche grande fermezza da parte delle competenti autorità ecclesiastiche».

Vien da chiedersi, a 15 anni di distanza, quale sia oggi la situazione. Facendo riferimento a una ricorrenza annuale in cui il governo israeliano, per consuetudine, non impedisce ai frati francescani di tenere preghiere pubbliche nella sala del Cenacolo, mons. Nazzaro racconta: «Noi francescani dobbiamo stare a guardare. All’epoca dei fatti voluti da don Verzé, per reagire a quella situazione di sopruso, il giorno di Pentecoste del 1996, decisi che noi frati avremmo cantato il Vespro solenne nel Cenacolo, invece delle solite preghiere previste. E da quell’anno mi risulta che questa consuetudine prosegua».

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